Cittadina del mondo: nata a Seul, Corea nel 1961, studi di perfezionamento con György Ligeti ad Amburgo, residenza a Berlino da più di vent'anni, Unsuk Chin è una compositrice orientale che ha assimilato in pieno il linguaggio musicale dell'occidente. Lo si sperimenta con chiarezza in questo cd pubblicato nella mitica serie 20 21 della Deutsche Grammophon, che si apre con il pezzo forse più noto di Unsuk Chin, "Akrostichon-Wortspiel" del 1991/93.

Scritto per soprano e ensemble, 15 minuti di durata, il "gioco di parole" del titolo deriva da testi tratti da La storia infinita di Michael Ende e Alice attraverso lo specchio di Lewis Carroll, che sono resi dalla soprano con modalità insolite: recitati sottovoce, con le parole cantate al contrario, intonando solo i nomi delle note o le lettere dell'alfabeto. Brano con cui la coreana si è imposta a livello internazionale: ma c'è di meglio nel resto del cd, che contiene altri tre lavori.

"Fantaisie mécanique" del 1994/97, per esempio, è un brano strumentale con un organico ridotto all'osso: pianoforte, due percussionisti, tromba e trombone: 12 minuti guizzanti e vivaci in cui gli strumenti sembrano lottare tra loro per accaparrarsi un ruolo solistico, rubandosi la scena a vicenda.

Con "Xi" del 1998 l'ensemble strumentale è affiancato dall'elettronica: pezzo affascinante, che inizia con un "respiro" di suono (placido ritmo dell'inspirare - espirare) e una lenta progressione; le sonorità sono grevi, scure, e gradualmente si dispiegano, poi si sovrappongono, fino ad arrivare a un tessuto frantumato e puntillista, con il tempo che accelera e un isterico gocciare di suoni... finché nell'ultima parte il pezzo va a concludersi così come era iniziato (23 minuti la durata). La parte elettronica utilizza il nastro magnetico, una leggera amplificazione degli strumenti, un campionatore e un software di spazializzazione del suono tramite 16 altoparlanti.

Infine, il "Doppio Concerto" del 2002 per pianoforte, percussione e ensemble: un brano ricchissimo nella timbrica e sontuoso nel colore strumentale. Una galoppata di 20 minuti che non concede pause o momenti di rilassamento, ma avvince l'ascoltatore con intricate ragnatele di suono. I due solisti in questo caso tradiscono l'origine orientale dell'autrice: il pianoforte preparato, che provoca suoni metallico-percussivi, e un percussionista sempre alla ricerca di effetti particolari, creano un mondo sonoro del tutto calato nel linguaggio delle musiche occidentali, e al tempo stesso di quelle extraeuropee. Per una che si chiama Unsuk Chin, forse non poteva che essere così.
 

Carico i commenti...  con calma