Raga seguo sempre debaser, mica mi sono sfuggiti, e cito, a braccio né, << [le] grida [i] lamenti a è [gli] alti lai>> per lo stato comatoso in cui versa la Demusica italiana: una homepage fitta dei soliti scialbi nomi che deprime e grida vendetta, povera patria davvero se si clonano a vicenda sempre gli stessi ritornelli ecc.
A soccorrermi[ci] ci pensano per fortuna i Uochi Toki, il dipolo più allucinante del paese, un esperimento di cacofonia computerizzata dentro storie da seduta surrealista tenutasi in un vagone della metro che percorre un bosco di betulle. Saturo di spore. Come la foresta di Nausicaa (quella giapponese). Recuperando l'integrità temporale del supporto cd che erano soliti frantumare con la polverizzazione della track-list in una miriade di micro brani, anche se ci avevano già provato, si abbandonano ad una più articolata dimensione narrativa organizzando intorno a 12 brani (x 14 personaggi) visioni sonore e flussi verbali di una potenza espressiva e creativa di innegabile suggestività.
Musicalmente tentano un approccio multilaterale legandosi a generi lontani dal rap e dal hip hop per evocare dimensioni dissocianti, discordanti, come può esserlo la preadolescenza di un ragazzino italiano su una base disco-doom, "Il Ballerino", per alienizzare una normale storia dostoeskiana con i suoni analogici dei videgame vintage, "Il Ladro". L'apice sono i quasi 10 minuti de "L'osservatore, L'osservatore 1", dal punto di vista concettuale il perno del disco con il suo tran-tran di "cose che non esistono" un pezzo che giostra tra uno Squarepusher catalettico, Jon Hassell, per come i suoni vengano elaborati a partire da un sesto mondo, e i Khanate insomma qualcosa suonato da un dj psicotico ispirato dalle strade d'Italia. Uochi Toki tentano anche la sutura con un passato remoto per definire il proprio etimo etico, l'origine della loro scelte, "Il Nonno Il Bisnonno". Murakami che ascolta Henry Rollins, si può cantare questo pezzo! genera "Il Claustrofilo". "Il Necromante" e "Lo Spadaccino" soni i testi più impersonali, bellissimi e ermetici, come leggere contemporaneamente il Calvino più scientifico di "Ti con Zero" e "Le Cosmicomiche" e quello più favolista della trilogia de "I Nostri Antenati".
Un lavoro assurdo, sulfureo, popolato da presenze inquietanti, disilluso e disperato, minaccioso, costante è l'evocazione della morte, nero, perfetto per come restituisce l'umore, la vacuità, la vertigine di questi anni.
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