Una premessa mi pare doverosa. Sono qui perché ho comprato uno di quei dentifrici per contrastare il sanguinamento delle gengive. L'ho comprato entro i limiti della legge, in orario stabilito, in negozio consentito, facendo la fila direttamente dal letto di casa mia. In effetti mi ero svegliato (coi postumi) già in fila, pensando al socialismo, al fatto che la COOP a cento metri dalla mia finestra ha le O dell'insegna coi led che funzionano solo a metà. Per non perdere il posto in fila, ho dovuto attivarmi alle sei e calarmi dal terzo piano con un sistema di carrucole. La gente cala e caga i cani per strada come ne La finestra sul cortile, nei cestini. Non era così che avrei sperato il socialismo reale, con le scatolette di tonno in sovraprezzo che incombono da ogni scaffale, il fiato rancido di una bottiglia di Barbera d'Asti che fa a spallate col caffè e la banana della colazione; cagare nero ogni giorno.
Sono riuscito a trovare il dentifricio tra i Palmera e gli As Do Mar, l'ho fatto levitare fino alla cassa, ho pagato contactless una cifra esorbitante.

[Non dirò di quest'affollamento di giustizia per le strade. Ne riparleremo quando saremo finalmente guariti e potremo organizzare una pastasciuttata al tonno antifascista al Parco 11 settembre, e intoneremo canti di giubilo intorno al focaraccio di autocertificazioni.]

Nello stesso edifico della COOP, al piano superiore, un sindacato minore continua a svolgere le sue mansioni a regime orario ridotto. Mi sovviene che uno dei miei amici squatter è arrivato in Italia trent'anni fa in qualità di medico cubano, o almeno è quel che ci racconta. Mi sono distratto: mi sovviene che dei quattro lavori che contribuiscono a mantenermi degnamente, soltanto uno mi garantirà lo stipendio di questo mese; per quanto riguarda gli altri, invocare un intervento sindacale sarebbe come comprare online uno scettro di Sailor Moon e pretendere che sprigioni i poteri.
Le lezioni che tengo su Skype sono ormai sperimentali: mi collego alle 23 e proseguo a oltranza finché non resto l'unico sveglio, di solito verso le quattro. Rilascerò attestato solo ai tre fedelissimi che avranno accumulato un monte ore sufficiente, ancora da stabilirsi. Nel frattempo bevo io, bevono i miei allievi, tutti fumiamo. Sarà per questo che ho la bocca ridotta come se masticassi bicchieri di plastica.

La reclame del dentifricio, che come tutti i dentifrici ha un nome assonante ai primi lavori del fortunato regista greco Yorgos Lanthimos, l'ho vista in uno stacco pubblicitario durante il primo episodio di Harry Potter. Trovo che trasmettere l'intera serie sia uno slancio escapista encomiabile da parte della maggiore emittente privata italiana, in un momento così difficile per il Paese; tant'è che mi ha ispirato uno di quegli esercizi da laboratorio di scrittura creativa in cui ancora, di tanto in tanto, mi attardo. È un esercizio che ricalca il racconto Pierre Menard, autore del Don Chisciotte di Borges: si svolge calandosi nei panni di Pierre Menard per cercare di riscrivere (attenzione: riscrivere, non riprodurre) un'opera letteraria (più realisticamente una porzione di essa) di cui si abbia un ricordo più o meno vago, per arrivare a un nuovo originale che pur completamente diverso nelle premesse, nel peritesto, sia almeno a scampoli testualmente uguale all'originale archetipico. È il principio teorico che regge la scrittura de Il Caso Moro di Sciascia. Per riempire mezza giornata ci ho provato con Harry Potter, letto a suo tempo, a cui ho dovuto però per ragioni di diritto d'autore e di memoria bruciata cambiare i nomi, sia mai che qualcuno decida di pubblicarlo. Vi faccio vedere l'incipit.

Henry Foster.
Capitolo I: nella casa dei balcani.

I Dusty vivono in un originale inglese di quei quartieri che avrebbero riscosso enorme successo nei piani regolatori della suburbanistica mondiale, i quartieri di casette basse che con italiano senso pratico avremmo chiamato villette a schiera e edificato nelle campagne adiacenti ai centri urbani per venderle al ceto operaio qualificato, ai lavoratori full-time del terziario, agli impiegati statali e ai professionisti di basso profilo. Si tratta di piani terra e primi piani di case popolari, con giardini che somiglino più a salotti all'aperto, eventualmente autorimesse, rifiniture poco più che grossolane talvolta, talvolta curate all'accanimento.
Wilson Dusty è agente di commercio nel settore hardware, sua moglie Begonia casalinga, suo figlio Dustin frequenta la scuola elementare pubblica. Una buona fetta delle provigioni del signor Dusty è dedicata a viziare il rampollo (è un bimbo pingue, lagnoso, forse affetto da un leggero disturbo dell'attenzione) perché sviluppi la dote della pretesa senza requisiti di merito, primo rudimento della scalata sociale. Conducono un'esistenza sobria, decorosa, senza sussulti, nel canone della piccola borghesia inglese alle soglie della disfatta conservatrice e dell'esplosione del new labour di Tony Blair.
I Dusty non concedono niente all'irrazionale, aderendo perfetti al paradigma d'umanità che la malnutrita comunità magica appella, non senza spregio, razza dei balcani.​

Eccetera. Mi sono distratto di nuovo. Il dentifricio: il dentifricio Parodontax, spremo il tubetto, è rosso. «Stanco di vedere il sangue quando ti lavi i denti?»: dentifricio rosso. Cerco nello specchio del bagno lo sguardo di uno che ha subito l'ennesimo raggiro del capitalismo e mi vedo in forma, fresco e lucido, che chiunque tenti di indovinare la mia età sbaglia sempre a ribasso, a volte non di poco. Mi è capitato di pensare di avere un ritratto come Dorian Gray chiuso in qualche garage, che espii i miei vizi e i miei peccati; magari un mio sosia altrove quotidianamente seviziato con un coltello.
Dalla finestra del bagno, che dà sul cortile interno, vedo cinquanta balconi. Tra le diciotto e le venti sento gli inni di Mameli, i rosari, Bohemian Rhapsody, Nada Malanima, Gaber, Gaetano, le campane di tutte le chiese bolognesi riunite, Modugno, mugugni, litigi su un'eredità, Caruso.
Allora capisco, allora è un affresco. Raccolgo la saliva e sputo nel lavandino: pulito.

[ringrazio Napo per aver ripreso il microfono]

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