Nella mia ultima recensione comparsa sul sito, dedicata a “One” dei Beatles, mettevo in dubbio l’importanza del quartetto di Liverpool sotto il profilo intrinsecamente musicale, pur non sottovalutando l’impatto storico e sociologico della loro musica, nè la bellezza dei singoli pezzi. Dai Beatles voglio ripartire, ovvero dai Beatles rivisitati dagli Utopia in "Deface The Music" (1980), album che espressamente si rifà alla tradizione beatlesiana, recuperandone stili e toni.

Prima di esaminare in dettaglio l’album, va osservato come dietro gli Utopia si nasconda il nome di uno dei più originali, e misconosciuti al grande pubblico, musicisti dell’ultimo trentennio: Todd Rundgren. Todd Rundgren, assieme a Frank Zappa, viene spesso definito come uno dei grandi “atipici” della storia del rock, ovvero come un artista difficilmente incasellabile entro un genere, od un’etichetta, predefinita. Il paragone fra Rundgren e Zappa è azzeccato sul piano descrittivo, ma andrebbe sensibilmente corretto: mentre Zappa ha affrontato, in trent’anni di carriera, molteplici generi ed approcci musicali con piglio sarcastico e dissacratore, evidenziando i limiti stessi di ogni stile considerato in maniera a sé stante (rock, jazz, blues, fusion, classica, elettronica etc.), e ricomponendo l’apparente varietà delle possibili espressioni musicali in un unico patchwork sonoro, Rundgren ha visitato tutti i sottogeneri esaltandone le peculiarità ed esasperandone, semmai, i toni ed i cliché, non senza un pizzico di ironia. Detto in estrema sintesi, se la musica di Zappa è un’implicita critica a generi e stili, la musica di Rundgren è una dichiarazione di fede verso i medesimi generi e stili. A conferma di queste osservazioni, può essere interessante dell’album in commento. Si tratta, assieme, di un atto d’amore verso i Beatles ed il pop rock dei sixties, di un’operazione nostalgia, di una forma di reazione verso i generi allora imperanti (punk e new wave), di un recupero delle radici sonore dei musicisti, di un’ironica rivisitazione di quello stile musicale. In tal senso appare riduttivo qualificare l’album come un semplice omaggio alla tradizione, quasi che gli Utopia si fossero limitati a coverizzare i Beatles, come già fece in passato la band dei Rutles.

Come anticipato, l’album tutto ripercorre la carriera dei Beatles, riproponendo i topoi principali del loro stile, dall’esordio ai tardi anni ’60, ovvero del beat degli esordi (adattamento del rock americano al gusto inglese, con ritmiche più serrate) al pop “psichedelico” di Sgt. Pepper, il tutto suonato con strumentazione dell’epoca. “I Just Want To Touch You”, pezzo d’apertura dell’album, richiama, nelle liriche e nell’incedere, “I Want to Told Your Hands”, con un bel pulsare beat. Allo stesso genere appartengono “Crystal Ball”, “Where Does The World Go To Hide”, ispirata “I'll Follow The Sun”, “Silly Boy”, “That’s Not Right”, “Take It Home” basata sui passaggi di “Drive My Car” e “Day Tripper”, in cui riemergono le tipiche ritmiche beatlesiane delle origini, riadattate per l’occasione dagli Utopia. “Alone” richiama i pezzi presenti su Rubber Soul, così come "Hoi Polloi" è invece ispirata ai brani più giocosi di Lennon/McCartney, solitamente affidati alla voce di Ringo Starr. "Lifes Goes On" riprende il mood dei pezzi di maggior atmosfera dei Betlaes, come "A Day In The Life", "Eleanor Rigby", mentre gli ultimi brani dell’album si rifanno esplicitamente alle trame degli album più maturi del quartetto, contraddistinti dalle venature psichedeliche tanto in voga nella Swingin’ London: si tratta di "Feel To Goddo", "Always Late", "All Smiles", con reminiscenze di "Michelle" e di "Fool On The Hill", ed "Everybody Else Is Wrong" pezzi in cui le melodie risultano sempre in primo piano rispetto all’accompagnamento musicale del gruppo, semplice ma appropriato.

Raccomandato ai cultori dei Beatles, "Defece The Music" potrebbe essere un tassello interessante nella discografia di tutti gli appassionati, anche se, per sua natura, non si tratta di un prodotto particolarmente innovativo. A meno che il buon Rundgren, nello “sfigurare la musica” del gruppo di Liverpool, non abbia inteso riproporne anche i luoghi comuni (sia nelle scelte musicali, alla lunga prevedibili, che nella provertà esecutiva) donando ai suoi suoni una classicità posticcia, che suona come bonario sberleffo alla tradizione. In linea con la copertina dell’album, del resto, in cui i quattro Utopians assumono pose classiche, che di classico non hanno tuttavia nulla e suonano, in questo modo, profondamente moderne.

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