Capita di lasciar impolverare un cd su un mobile, succede quando si è in periodi poco propensi a nuovi ascolti, o magari se in testa pogano tra loro turbamento e apatia togliendo spazio alla curiosità, quindi ammorbando …impigrendo. Succede così che il disco di un gruppo apprezzato dal sottoscritto per il precedente lavoro venga spacchettato tardivamente. Meglio tardi che mai, che onesta banalità.
Mi mangio ancora le mani, lo faccio pure per aver mancato il live a Milano degli Uzi & Ari solo perché quella sera ero solo. Colpa dei fastidiosi pacchi degli amici… no, ok, è colpa mia che non ci sono andato e basta.

Il precedente “It Is Freezing Out” mi aveva regalato emozioni intense soprattutto “per colpa” di un paio di pezzi perfetti per espressività e per uscita sonora. Il resto era un abile, delicata e pacata opera intimista ricamata da corde d’acustica ed impreziosita da pennellate electro-vintage attingendo in parte dalla poesia radiohediana di più recente produzione.
Questo ultimo “Headworms” riesce però in quello che il predecessore non era riuscito, ovvero mantenersi costante e perfettamente bilanciato, infondendo all’opera nella sua totalità un grande spessore. “Headworms”, in parole povere, è un disco splendido. Dieci tappe, ognuna maledettamente cosciente, ognuna data alla luce con sensibilità fuori dal comune.

Ben Shepard, anima della band di San Francisco, ha un grande dono: quello di concepire l’idea senza che il parto poi ne alteri essenza e purezza.
Ciò significa avere totale consapevolezza di quello che deve uscire da ogni fottuto aggeggio. Significa inoltre condividere una passione (o una morbosa esigenza) assieme a menti amiche, che parlano la tua stessa lingua, complici del progetto fino all’incestuosa inseminazione che ne determina la riuscita.

Per la prima volta sul canale DeBaseriano recensisco un lavoro senza elencare tracce o soffermarmi su sensazioni, momenti precisi (o semplici commenti) che i singoli brani offrono all’ascoltatore. Non lo faccio perché sarebbe superfluo.
Il disco in questione è bene assumerlo senza dare troppi appigli, concedendogli il tempo necessario a farlo germogliare. Non ci sono cadute di tono, di stile. Sono rari i momenti di scarsa vena/ispirazione. E’ tutto così fastidiosamente coerente, morbido e intenso.
E’ bene sottolineare che l’influenza madre è ben chiara (già citata in queste righe), ma sarebbe solo un pretesto per non valorizzare a pieno le capacità di una band che ha da dire anche parole sue, soprattutto parole sue.

Dedicato a chi si emoziona guardando un panorama decadente e sfocato. Consigliato a chi scorge nel panorama una natura che sprigiona ossigeno sotto forma di frequenze.

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