"Tarots and the North" (dodici scritti abbinati ciascuno ad un Arcano Maggiore di Luis Royo)
"XI. The Last Judgement"
Brancolando nel buio di uno spazio in costante espansione, i moderni cosmologi sono giunti ad ipotizzare che il fato dell'universo possa dipendere dal vincitore di un astronomico braccio di ferro tra energia oscura e forza di gravità, delle quali la prima, se trionfante, porterebbe all'irreversibile allontanamento dei corpi e alla conseguente disgregazione della materia, mentre la seconda provocherebbe l'effetto contrario, riavvicinando i pianeti ed ogni singolo essere fino a far collassare la realtà su sé stessa. Due millenni e mezzo orsono l'agrigentino Empedocle formulò un ragionamento analogo, collocando lo sviluppo della vita nei periodi intermedi al realizzarsi di ciascuno dei due processi e condannando perciò tutte le cose ad una placida ed inavvertibile distruzione, "ora riunendosi in un unico cosmo per azione di Amore, ora venendo trascinati ognuno per vie opposte dall'ostilità di Contesa".
Tale minaccioso concetto risulta pressoché intraducibile in un idioma musicalmente valido e ciò sollecita a conferire ancor più rilevanza ai teoremi sperimentali dei finlandesi Uzva, un consorzio di arditi ricercatori in grado di progettare un'impressionante simulazione, ottenuta intersecando le variabili dinamiche del jazz d'impronta fusion con i valori costanti e indivisibili di numerosi elementi acustici, che richiamano i freddi e solitari inverni impressi nell'esordio "Tammikuinen Tammela" del 2000 e preannunciano le fantasie cosmopolite dell'imponente "Uoma", giunte a maturazione sei anni dopo.
"Niittoaika" cela nelle sue complicate strutture l'essenza di un liquore forte ma dolce, che svela a poco a poco tutta la sua incontenibile carica inebriante, agendo con estrema delicatezza nel sottofondo di sofisticati temi melodici e attuando una mutazione dal corso felpato quanto decisivo, capace di stravolgere il volto di un'opera inaugurata dalle armonie più commoventi e tramontata nel caos primordiale di folli dissonanze. Impossibile immaginarsi una trasformazione di cosiffatta entità durante l'ascolto del fantasmagorico violino di Inka Eerola e delle sue struggenti preghiere, a tal punto ricolme di autentica devozione da incendiare l'aria, attraversata dai canti del clarinetto, ed evocare le poesie strumentali celebrate da Giovanni Vigliar e Arturo Vitale agli albori della leggendaria epopea degli Arti & Mestieri ("Soft Machine").
Spetta al polistrumentista Heikki Puska il compito di deviare il flusso creativo di questo album di classe 2002 verso lidi soleggiati e beneficiari delle attenzioni di una brezza fresca e piacevole, prima affidandosi alle tenere filastrocche appena sussurrate dal piano, e poi allacciando la propria chitarra a quella di Lauri Kajander durante i brindisi di festose ricorrenze, sullo sfondo di litorali irradiati dalla letizia del flauto di Hanne Eronen e dalle sue magistrali interpretazioni delle speranze e della volubilità umane ("Afrodite"). Ma il susseguirsi degli eventi, scandito dal vibrafono del batterista Olli Kari e dalle disilluse considerazioni del basso di Lassi Kari, non accenna a rallentare e fosche nubi occultano il chiarore di distese cerulee ormai funestate dall'ira dei venti, mentre il profilo di onde mastodontiche conferma le profezie del violoncello di Tuure Paalanen, ultimo testimone del giudizio finale scagliato su un mondo compresso nelle crudeli meccaniche di una necessità inalterabile ("Drontti").
Cala così il sipario sulle apocalittiche scene di una pubblicazione spesso ritenuta, a torto, raggiante e serena come le sue graziose sorelle, ed invece rivelatasi custode degli schemi di opposte forze cosmiche, intente a beffare, o forse semplicemente a ignorare, i destini dei microscopici abitanti che brulicano l'abisso infinito da esse ciclicamente annientato e riformato, almeno prestando fede alla teoria empedoclea secondo cui "nella Contesa tutto è difforme e contrastante, ma nell'Amore tutto si riunisce e ogni cosa è colta dal desiderio dell'altra, e da essi germinano tutte le cose che erano, sono e saranno".
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