I nomi di Oscar Valdambrini e Dino Piana sono legati indissolubilmente alla storia del jazz italiano; e se sono nomi comunque legati alla vecchia scuola degli anni '50 e '60, nel 1977, anno della pubblicazione di "Afrodite", pur mantenendo le peculiarità del loro stile che aveva concesso loro lo status di capiscuola, avevano saputo reinventarsi a dispetto di altri musicisti che non sono riusciti per pigrizia, incapacità, poca ricezione a stare a passo con i tempi.

Proprio un paio di anni prima, nel 1975, un'altra loro abituale conoscenza, ovvero Gianni Basso, con il suo "Hit" a cavallo tra la tradizione di stampo hardboppistico ed il jazz/rock, aveva dato prova della rigenerazione del proprio sound; e non a caso dietro alle pelli di "Afrodite" e "Hit" c'era sempre Tullio De Piscopo, che con il suo drumming estroso ha fatto un po' da trait d'union generazionale e di conseguenza anche musicale. A completare la line up in "Afrodite" saranno Oscar Rocchi al piano e soprattutto Giorgio Azzolini al contrabbasso, storica conoscenza sia del duo Valdambrini-Piana e sia del già citato Basso. La figura di Azzolini, così discreta ed al contempo così presente e caratterizzante nel suono, è quella che riesce a fare da collante al tutto: Azzolini è passato alla storia del jazz italiano non solo come sapiente ed affidabile "accompagnatore", ma anche come fine compositore, e certamente prove da leader in pezzi come"Bankok" e "Spanish Portait - anche in questo caso con De Piscopo alla batteria -, fanno capire come si trovi a suo agio in brani dal richiamo fortemente esotico, cosa che avrà modo di dimostrare con un'arabeggiante introduzione con tanto di archetto e sul tappeto etereo del piano elettrico di Rocchi in "Arabian Mood", brano di apertura di "Afrodite" e nel quale Piana e Valdrambrini saranno sugli scudi con linee melodiche accattivanti, incastonate dentro un'armonia particolare fuori dai soliti canoni ed incalzata da De Piscopo.  

Lungo il percorso il quintetto avrà modo di regalare altre prove degne di note, e certamente "I Due Modi", pezzo che si apre con una riconoscibilissima introduzione à la Horace Silver, confuta l'abilità del quintetto e la bellezza estetica della musica che propongo, in questo caso anche con un solo pieno di swing di Rocchi al piano elettrico. In seguito, pezzi come "Palpitazione" dal groove audace o la stessa "Parkeriana" che comprensibilmente è più legata alla tradizione, mantengono costante l'alto livello di questo disco. Un disco scorrevole, evocativo, partendo già dal titolo e dalla copertina.

Valdambrini e Piana, assieme ai loro compagni di cordata, nuovi portatori del mito di Afrodite declinato al jazz, con la loro classe fuori dal comune avevano dato vita a questo disco di rara bellezza, e che merita certamente di stare nella discoteca di ogni buon appassionato di jazz. 

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