Forse si sarebbe chiamata “Diomedeide” se fosse stato Omero a narrare realmente del ritorno in patria di re Diomede ad Argo. Ritorno che, come buona parte dei Nostoi − i viaggi di ritorno dei protagonisti della Guerra di Troia− finisce nel peggiore dei modi: alcuni dei capi achei non riescono nemmeno a tornare in patria – come Aiace Oileo che annega durante una tempesta in mare ─, e quelli che ci riescono, sono vittime di perfide congiure ─ Agamennone, il capo della spedizione achea, viene assassinato dalla moglie Klitemnestra. Ci sono però anche delle eccezioni: qualcuno riesce a sopravvivere, ed è destinato a tornare “Tardi e male” come profetizza il vate Tiresia a re Odisseo; vaticinio che poi si concreterà appunto con un triste ed estenuato ritorno da parte del sovrano di Itaca.
Diomede invece riesce a tornare ad Argo, ma non riceve l’accoglienza che avrebbe meritato: la moglie lo ha tradito, il suo popolo l’ha dimenticato. Il re fugge dalla sua città e parte per l’Italia (Hesperia) dove dovrà affrontare un’interminabile serie di peregrinazioni nel tentativo di fondare una nuova patria. Ma nel combattere tribù selvagge in terraferma, e sanguinari pirati in mare, Diomede s’imbatterà ancora nel guerriero più potente che abbia mai affrontato, un uomo che si porta dentro uno spettro del passato che ha la forma del conflitto più sanguinario e straziante che l’uomo abbia mai conosciuto. Egli è il potente figlio di Anchise, il patriarca della gloriosa stirpe romana…Enea di Troia!
Le paludi di Hesperia è un’affascinante viaggio nella tradizione classica, e riempie una lacuna che le fonti Omeriche e Virgiliane avevano lasciato da parte. L’avventura di Diomede, infatti, non è meno potente di quelle di Odisseo o Enea: è anzi molto probabile che essa fosse spesso menzionata già durante il periodo ellenico, grazie ai racconti orali e al canto degli aedi. Valerio Massimo Manfredi ripropone dunque la storia in modo poetico e magistrale, prestando la voce ad un misterioso oratore che narra la vicenda del re di Argo, proprio come avrebbe fatto qualunque predicatore del periodo. Aggiunge anche molte vicende alternative e simultanee dal punto di vista temporale, come quelle che coinvolgono Menelao, re di Sparta, o Anchialo, compagno di Diomede, incaricato di tornare in Grecia per riferire ai compatrioti della minacciosa invasioni dei Dori ─ popolo che, storicamente parlando, è responsabile della distruzione del culto acheo.
Il ritmo della narrazione è come sempre “alla Manfredi” ossia tecnico, scorrevole e curato al punto da inserire all’interno del testo la terminologia originale per identificare città e popoli dell’epoca; perciò i Fenici diventano Chnan e Troia diventa Vilusya. Il tutto è ovviamente specificato in un pratico dizionario che si trova alla fine della narrazione. A inizio libro c’è inoltre un’interessante topografia del mondo antico che farà trasalire molti lettori non specialisti (come il sottoscritto) che verranno affascinati dal vecchio aspetto della nostra penisola.
Il romanzo trae dunque spunto dall’epos, ma presenta inequivocabili elementi che hanno il compito di “storicizzarlo” in modo da renderlo più distante dall’immaginario e più vicino ad una narrazione maggiormente sobria e veritiera. A tale proposito, l’assoluta assenza delle entità divine ─ presenti in forma metafisica e non fisica ─, diventa una lampante testimonianza di tale scelta narrativa. Il clima è molto simile a quello della tragedia greca, cioè non si respira mai la temerarietà per l’avventura e l’eccitazione della scoperta; c’è soltanto l’avvilimento e la soggezione per tutti gli ostacoli che si presenteranno sul cammino dei personaggi. La virtù delle armi e la gloria del trionfo rimangono però immancabili: ce ne accorgiamo nell’epico duello finale fra Enea e Diomede, un momento in cui la cupa e perfida fierezza del conflitto troiano, torna a rivivere nelle caliginose paludi di Hesperia.
Consigliato.
Federico “Dragonstar” Passarella
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