Kleomenide, spartano, viene abbandonato dal padre Aristarchos in un bosco a causa di una malformazione al piede che lo rende zoppo, ma viene salvato da un pastore Ilota, Kritolaos, che lo “addotta” chiamandolo Talos e gli insegna a tirare con l’arco e a vivere da schiavo.
Questo romanzo mi è stato sin dall’inizio antipatico, poiché va a toccare un qualcosa di perfetto come la mitologia greca, una cosa con cui sono cresciuto.
Già dai primi capitoli non mi appassionò (personaggi non molto originali, avvenimenti banali), e allora decisi che quando avrei scritto la recensione l'avrei distrutto, fatto a pezzi. Ma il miracolo accadde: verso la fine della prima parte inizia ad arricchirsi (dalla battaglia delle Termopili) di dettagli e gesta particolari, succulenti, e ben scritti (per esempio quando Talos e il suo fratello spartano Britos ma che non sa di essere suo fratello ma comunque lo sospettano anche se non ne sono sicuri iniziano una guerra privata contro i Persiani, anche se assume le caratteristiche di un fumetto).
Insomma mi tocca ammettere che mi è piaciuto leggerlo, soprattutto dalla seconda parte, in cui tasselli tasselli insignificanti iniziano a formare un puzzle più complesso.
Il lettore troverá all'inizio difficoltà nell’associare tutti i nomi ai rispettivi proprietari, e nei primi capitoli potrebbe annoiarsi come il sottoscritto, ma se riuscirà a continuare la lettura resterà affascinato dalle descrizioni e dalla trama tessuta dall’autore, che si destreggia tra elementi inventati e personaggi appartenenti alla mitologia greca.
Quindi, il lettore si troverà di fronte ad un romanzo a tratti banale e con un finale a mio dire deludente, ma comunque ad un buon romanzo.
Comunque a mio dire la più grande pecca sta nel personaggio di Antinea (la morosa di Talos): da quello che poteva essere un personaggio senza infamia né lode ne esce fuori una macchietta piagnona molto forzata, che mi fa tutto tranne simpatia o pena
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