Ho riflettuto un po' prima di scrivere la recensione di quest'album perchè su Debaser ormai è stato scritto di tutto e di più sul Generatore e il rischio era di riscrivere sempre le stesse cose trite e ritrite suscitando le ire di chi i VDGG e gli altri gruppi progressive non li digerisce proprio ("ancora con questi gruppi degli anni '60 cotti e stracotti, bastaaa") e gli strali dei fans ("recensione inutile che non dice niente di nuovo").
In realtà "Real Time" sul serio non dice niente di nuovo, i brani sono tutti (quasi) straconosciuti e simili agli originali in studio, non c'è nessun pezzo inedito e la formazione è quella "storica" Peter Hammill voce, chitarra e piano, David Jackson ai fiati, Hugh Banton alle tastiere e Guy Evans alla batteria. Perfino il logo della band sulla copertina del cd è uguale a quello di "Godbluff" del lontano 1975. Cosa dire di questo album se non le solite cose che ormai i fans conoscono a memoria?
Però la tentazione era troppo forte, approfittare dell'uscita del doppio cd live che immortala lo storico concerto del 6 maggio 2005 alla Royal Festival Hall di Londra, sold out da mesi, per esprimere il mio amore totale e incondizionato per questa band che seguo dal Giurassico o giù di lì, cioè da quando "Theme One" era al primo posto nella hit parade italiana.
Debaser però è pur sempre un sito di recensioni e non una rubrica di annunci sentimentali e quindi provo a descrivere l'album iniziando dalla scaletta dei brani dove, in realtà, qualcosa di nuovo c'è. E' una mezza sorpresa la presenza di un brano della sterminata produzione solista di Peter Hammill, la splendida "(In The) Black Room", tratta dal suo primo album e sorprende anche il fatto che sono presenti soltanto due brani da "Present": "Nutter Alert" e "Every Bloody Emperor". Evidentemente i VDGG preferiscono accontentare i loro fans che vogliono ascoltare soprattutto i brani storici degli anni '70 piuttosto che pubblicizzare dal vivo il loro ultimo album. Una scelta che condivido in pieno.
Tutti gli altri brani fanno parte del repertorio "classico" del Generatore e non hanno certo bisogno di descrizioni: "The Undercover Man", "Scorched Earth" e "Sleepwalkers" da "Godbluff" (1975), "Childlike Faith In Childhood's End" da "Still Life" (1976), "Masks" e "Wondering" da "World Record" (1976). Non mancano nemmeno i superclassici tratti dalla "Trinità" del 70-71 come "Darkness" e "Refugees" da "The Least We Can Do Is Wave To Each Others", "Killer" da "H To HE", "Lemmings" e "Man-Erg" da "Pawn Hearts".
A questo punto sorge un dubbio, riusciranno i nostri eroi a suonare come una volta e non farci rimpiangere i bei tempi andati? L'ascolto toglie ogni dubbio, i 4 arzilli vecchietti nonostante la veneranda età non sono affatto arrugginiti e suonano con la stessa energia e passione di 40 anni fa, il sax jazzy di David si interseca ancora alla perfezione con le tastiere gotiche di Hugh, Guy è sempre il solito instancabile metronomo e la voce di Peter fa ancora venire la pelle d'oca a chi la ascolta. La qualità del suono purtroppo non è il massimo perchè tutto il concerto è stato mixato in presa diretta (in real time appunto) senza nessun ritocco o sovraincisione. Meglio così.
L'atmosfera del concerto è satura di nostalgia, di emozione ed entusiasmo. Tutti i presenti sono consapevoli di assistere ad un evento storico della musica rock, il ritorno sul palco dei VDGG dopo quasi 30 anni. Peter stempera la tensione scambiando qualche parola con il pubblico che immaginiamo formato quasi interamente da 40-50enni con la pancia e pochi capelli in testa. Gli applausi si sprecano. I brani però sono ascoltati in religioso silenzio e sicuramente qualcuno in platea ha gli occhi lucidi. Il feeling tra tra il pubblico e la band è totale.
Qualcuno si chiederà cos'hanno di speciale i VDGG oer avere un seguiro così fedele e appassionato. La risposta è semplice, l'originalità e la coerenza che hanno sempre contraddistinto la loro carriera. Originale è la strumentazione: la chitarra elettrica, strumento fondamentale della musica rock, è presente solo saltuariamente nei loro brani e anche il basso è spesso rimpiazzato dalla pedaliera dell'organo di Hugh. Originale è senza dubbio anche la loro musica che è considerata "progressive" ma che non ha nulla del formalismo classico di Yes, Genesis, EL&P e King crimson, non si autocelebra con assoli impeccabili e fughe vertiginose di tastiere ma è cupa e claustrofobica, fatta di incastri armonici spesso intricati e dissonanti e da squarci di malinconico lirismo.
Intendiamoci, niente da dire sui gruppi "storici" del progressive che ascolto sempre più che volentieri, specie i King Crimson che mi fanno andare i neuroni in brodo di giuggiole, però secondo me i VDGG hanno qualcosa in più, ti entrano sì nel cervello ma poi ti colpiscono al cuore. Merito anche dei testi visionari di Peter, autentiche poesie che invece di descrivere scenari bucolici e fiabeschi analizzano il senso di impotenza dell'uomo di fronte all'universo, la sua angoscia esistenziale, le paure e le speranze che tutti noi abbiamo dentro. Il mondo di Peter non è un bosco incantato abitato da gnomi e folletti ma uno psicodramma popolato da squali killers e lemmings suicidi.
Inoltre i VDGG sono sempre stati coerenti con se stessi e il loro pubblico, non si sono mai svenduti alle case discografiche, non hanno mai composto dichetti di musica commerciale per fare i soldi, nonostante si siano trovati spesso in difficoltà economiche. Si sono sciolti da duri e puri l'ultima volta nel 1978 dopo aver pubblicato un live (il primo della loro carriera) potente e pieno di energia, "Vital", controverso testamento sonoro di una band ancora in ottima salute.
Paradossalmente il suono di "Vital" è più moderno ed attuale rispetto a "Real Time", basso e chitarra elettrica sono ben presenti e su tutto domina la voce di Peter, mai così potente e teatrale. Questo perchè è assente Hugh, rimpiazzato dall'eterna riserva Nic Potter e David è presente solo in alcuni brani come "ospite". Il risultato è un suono ruvido e spigoloso che anticipa certe sonorità che si svilupperanno nel decennio successivo ma che personalmente mi lascia perplesso. L'assenza del sax di David, il soffio elettrico del Generatore, uno dei marchi di fabbrica inconfondibili della band, si nota eccome. Di fatto se al canto non ci fosse Peter con il suo timbro vocale inconfondibile, "Vital" sembrerebbe più il lavoro di una grunge band che coverizza brani dei VDGG più che un album ufficiale del Generatore.
"Real Time" invece, al contrario di "Vital", non è nè ostico nè moderno, è un album semplice e anacronistico, nostalgico e ruffiano che non dice nulla di nuovo ma lo dice stupendamente. Ascoltarlo è come tornare indietro nel tempo, come guardare un film in bianco e nero, come bere un bicchierino di rosolio, come sfogliare un album di vecchie fotografie che ti fa riscoprire emozioni antiche ma mai morte. "Real Time" è inutile e prezioso come quasi tutte le vere opere d'arte.
Il Generatore è tornato, lunga vita al Generatore.
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