I Van Der Graaf Generator sono certamente uno dei gruppi più originali della storia del rock.

Benchè i loro album, ahimè, non siano poi così tanti, vi posso assicurare che la musica racchiusa in essi vale molto di più di quella contenuta in intere ed infinite discografie di vari pagliacci e gruppi di pagliacci che oggi piacciono tanto.

Il fatto è che la musica dei VDGG è difficile da digerire: tutti concordano che "Pawn Hearts" (1971) sia una pietra miliare del progressive (e non solo) , ma sono pochi coloro che riescono a cogliere la vera essenza di questo grande capolavoro, dei dischi che lo hanno preceduto e, soprattutto, di quelli che lo hanno succeduto. Tra questi ultimi svetta "Still Life" (1976), che forse, fra "Godbluff" (1975) e "World Record" (1977) è il meno sottovalutato. Del resto ci vuole molta fantasia per dire che un'opera come questa sia di basso livello, ma c'è ancora qualche ignorante che ha il coraggio di sostenerlo (e allo stesso tempo di autodefinirsi critico musicale).

Sesta fatica della band inglese, "Still Life" è caratterizzato da una grande presenza di parti vocali a dispetto di quelle strumentali. In altre parole l'organo di Banton e il sax (o il flauto) di Jackson  assumono prevalentemente una funzione di accompagnamento, mentre la voce di Hammill diventa il vero e proprio marchio di riconoscenza delle 5 canzoni. La prima di queste è "Pilgrims", brano piuttosto melodico e orecchiabile, caratterizzato soprattutto dagli sbalzi di intensità del cantato: il testo ricorda un pò quello della vecchia "Refugees".

La title track vanta un'introduzione di voce ed organo superba, psicodrammatica, che va a sfociare in una parte più movimentata, guidata dal sax. Viene poi ripresa la melodia dell'intro, prima da tutti gli strumenti, poi solo da Hammill, che accompagnandosi col pianoforte chiude intimamente il pezzo. Si prosegue con "La Rossa", la canzone più trascinante dell'album. Hammill imbraccia la chitarra elettrica, e guida la band attraverso numerosi e continui cambi di tempo che ci tengono letteralmente "incollati alle cuffie" per questi 10 e passa minuti. Si parla di sesso, e Peter lo fa tramite il felice uso di ironiche allegorie (organi-scimmia, organi-macinatori, tubi che iniziano a sputare). Questo però non faccia pensare che le tematiche della canzone siano superficiali: al di là dello strato ironico, vengono affrontati argomenti comunque profondi, pericolosi, lasciati in un angolo buio da tutte le altre band prog dell'epoca.

La traccia successiva, "My Room", è un vero gioiello. Pianoforte, basso, sax e una leggera batteria creano una delicata ed essenziale atmosfera sulla quale prima verso il basso poi verso l'alto Hammil da spettacolo con la sua voce, interpretando il brano come solo lui saprebbe fare. Il cambio di tonalità da maggiore a minore provoca una strana sensazione, è uno di quei pochi momenti in cui ti viene davvero la pelle d'oca.

"Still Life" si conclude con un nuovo colosso musicale, "Childlike Faith In Childhood's End", bellissima canzone che però musicalmente aggiunge poco a quel tanto che è già stato detto nel corso del disco. Interessante invece il testo, una sorta di complessa indagine filosofica riguardo alla morte e a ciò che viene dopo essa. In conclusione "Still Life" è un ottimo album, a mio giudizio preceduto  soltanto da "Pawn Hearts" e "The Least We Can Do Is Wave To Each Other" (1970). Se conoscete questa band ma non possedete questo disco procuratevelo. Se ce lo avete già, rivalutatelo. Se invece il nome "Van Der Graaf Generator" non vi dice nulla ma siete lostesso riusciti ad arrivare in fondo alla recensione....

Allora intanto che ci siete piantate lì di ascoltare della merda e sturatevi le orecchie con questa roba!

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