Anno domini 2012.Van Halen Are Back.
Dopo un susseguirsi di rumors più o meno ufficiali, la famosa band americana è tornata sulle scene mondiali con il loro nuovo album di inediti:"A Different Kind Of Truth". Ma la vera notizia è un'altra. L'istrionico David Lee Roth è tornato al suo ruolo di vocalist e anima "morale" del gruppo.E rano ormai diversi anni che le strade tra il singer e il resto della band si erano divise, per la precisione 28 (era infatti datato 1984 il loro ultimo lavoro insieme). Inevitabile che l'attesa e la curiosità nel sentire un nuovo album con David alla voce sia tanta, soprattutto per capire se i Van Halen sono ancora vivi. Musicalmente parlando. Infatti nel 1998 uscì il loro più fragoroso fiasco: "Van Halen III" con Gary Cherone alla voce (cantante della band Extreme). Dopo quell'album il nulla più assoluto, e un silenzio che rimbombava nella testa dei fan ed addetti al lavoro: I Van Halen esistono ancora? I Van Halen hanno ancora voglia di suonare? Ma sopratutto chi sarà il nuovo cantante dei Van Halen? Domande che per anni, ogni buon fan si è fatto, sperando in un cenno di vita, che molto tempo non c'è stato.
Questo album è la testimonianza che non tutto è perduto. "A Different Kind Of Truth" è un ottimo album Heavy-Rock (come recentemente ha dichiarato lo stesso Lee Roth) tipicamente Vanhaleniano. Se escludiamo il noto singolo di lancio "Tattoo" ogni brano dei 13 proposti nella tracklist, respira del classico profumo che ha contraddistinto la band nella loro gloriosa carriera, seppur con qualche variazione.
Il cd parte subito in quarta con "She's The Woman", canzone che sembrerebbe risalire a dei demo del 1977 (e forse non è neanche l'unico del cd), riarrangiata e riproposta in chiave rock moderna. Il brano è piacevole e seppur non straordinario, ha dalla sua la bella ritmica del nostro caro Eddie.Si prosegue poi con "You And Your Blues": un mid tempo con cori e finale accelerato, più orecchiabile e catchy rispetto al brano precedente. "China Town" è una cavalcata rock potentissima e vecchia maniera (sulla falsariga di successi come "Hot for Teacher" o "I'm The One"): batteria martellante con doppia cassa e giro di basso schiacciasassi fanno da base ai virtuosisimi di Eddie che culminano con un discreto assolo dei suoi, perfetto connubio di tecnica e groove. "Blood and Fire" è un altro ottimo brano che ricorda vagamente i Van Halen del periodo Sammy Hagar (un plauso al trascinante assolo in crescendo), mentre con Bullethead il disco raggiunge uno dei suoi apici: un’altra mitragliata nel petto che si regge su un riff violento, inspirato e cattivo. "As Is" è un pezzo apparentemente insolito per il sound Van Halen: introdotto da una lenta parte di batteria che introduce un riff lento e pesante, il brano sembrerebbe muoversi su coordinate nuove per il quartetto californiano. In realtà ci troviamo di fronte alla terza potente rockeggiata dell’album, nella quale Eddie da libero sfogo alla sua tecnica. La band non è da meno e lo segue mettendoci del suo. Piacevole e se vogliamo inaspettato, l’intermezzo bluesy di pochi secondi dopo un assolo di tapping al fulmicotone da far tremare i padiglioni auricolari dell’ascoltatore. Si arriva così a "Honeybabysweetiedoll", primo brano un pò sottotono, e anche un pò banalotto.
"Outta Space" inizia con uno dei migliori riff dell’album, per poi proseguire in un discreto brano rock, anche qui nulla di trascendentale. Si arriva al brano migliore dell'album: "Stay Frosty". Sembra essere parente della geniale "Ice Cream Man", song del loro primo album. Sguazza nel folk blues, terreno fecondo per il caldo vocione di Roth, che si esibisce in una ritmata parte parlata che successivamente apre la strada alle chitarre elettriche della seconda parte della canzone,con Eddie che neanche a dirlo si scatena per il piacere delle nostre orecchie assetate di assoli e riff. Per quanto riguarda la chiusura dell'album, ci sono "Big River" e "Beats Workin'", due buoni brani, tirati ed esplosivi il giusto. Una chiusura degna per un ottimo album targato Van Halen.
L'album non ha ballate (segno distintivo di Sammy Hagar) nè tantomeno particolari colpi a vuoto. Sono 13 brani ben scritti (o per alcuni ben riscritti e riarrangiati) che non fanno gridare al capolavoro, ma sicuramente non si urla allo scandalo. Prevale forte per tutto l'album la sensazione di deja vu, ma è una piacevole sensazione. Sembrerebbe un album a cavallo tra "1984" e "5150"(il primo con Hagar alla voce), con forti richiami al rock 70's, quello che ci aveva fatto innamorare dei Van Halen e anche di quel vecchio volpone di David Lee Roth. Bentornati rockers, ora vedremo se l'energia del cd è ancora trasportabile su un palco, vostro antico cavallo di battaglia. Gli anni passano, e speriamo per voi ci sia ancora tempo per dimostrare il contrario. Certo l'inizio non è affatto male...
Elenco e tracce
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Altre recensioni
Di cinghialebianco
Un meraviglioso tributo al passato rivitalizzato che riluce pirotecnico soprattutto in China Town e Bullethead.
La geniale rocciosità della chitarra di Eddie domina un album che resetta le pomposità rock-commerciali della seconda fase della band.