Nel 1983 i milanesi Vanadium sfornarono un LP che consoliderà la fama (underground naturalmente, mica siamo in UK) di quello che è considerato il gruppo pionere per un certo genere di Heavy Metal in Italia. Il combo meneghino si era già messo in mostra con "Metal Rock", ma è qui che si raggiunge il vertice compositivo.

A conti fatti, stiamo parlando di un disco che non solo ha ben poco da invidiare alla contemporanea NWOBHM, ma anzi si pone al di sopra di molte produzioni britanniche. E' davvero un peccato il fatto che molti dimentichino di guardare in casa propria alla ricerca di musica al di fuori dei nostri confini. Steve Tessarin alla 6 corde sprizza energia da tutti i pori, Pino Scotto non si era ancora fottuto il cervello ed era un signor cantante, Mimmo Prantera regge al basso degnamente le, a dire il vero, non complicatissime sezioni ritmiche, Lio Mascheroni lascia stupiti per la sua creatività dietro le pelli, davvero sottovalutato.

Una citazione anche per il tastierista Ruggero Zanolini, autore di trame Deep-Purpleiane sempre convincenti. Parlando dei pezzi veri e propri, l'album ha pochissimi punti deboli. Già l'opener "Get Up, Shake Up" mette in chiaro le cose: riff potenti che si intrecciano ed un incedere rockeggiante, che spazza via tanti mediocri gruppi contemporanei avvantaggiati dal solo fatto di essere di nazioni più blasonate, in fatto di rock'n'roll. Uno dei migliori heavy dell'anno '83 (dove sono stati partoriti album del calibro di "Piece Of Mind" o "Holy Diver", per citarne un paio).

Segue "I Gotta Clash With You", e le influenze dei Saxon sono chiaramente visibili. I Vanadium ci propongono un mid-tempo roccioso, senza fronzoli e con il ritornello che ti si piazza in testa dal primo ascolto. Dopo due sfuriate è tempo di una semi-ballad, "Don't Be Lookin'Back". Pino Scotto non è un mostro di tecnica ma qui ci mette l'anima, e si vede. Il pezzo è un susseguirsi di arpeggi delicati e scariche di heavy-NWOBHM style. Quando il pezzo aumenta di forza tocca livelli elevatissimi, sfido chiunque a non esaltarsi. Da menzionare anche il solo che in alcuni momenti però, a dire il vero, ricorda un pò troppo "Beyond The Realms Of Death" dei Judas Priest.

In quarta posizione abbiamo la title-track, concentrato di energia grezza e squadrata, al servizio di una sezione ritmica tiratissima.Molto belli i soli,sia di chitarra che di tastiera. Segue "Running Wild",che insieme all'opener ed al settimo pezzo è il momento più riuscito del disco. Personalmente ho avuto l'occasione di ascoltarla live un paio di mesi fa da Pino Scotto solista, ed è stato emozionante, a dir poco. Il refrain dovrebbe entrare di diritto tra i più riusciti dell'heavy rock ottantiano. Energia a non finire. "Fire Trails" è personalmente il brano che mi piace di meno, ben suonato ma non all'altezza del resto, anche perchè è chiamato al confronto con la successiva "Outside Of Society", una sorta di speed metal al cardiopalma. Parte velocissima, rallenta leggermente nel chorus, ma ti lascia senza fiato. Spaventosa la trama chitarristica, sorretta da una ritmica che è un rullo compressore.

Chiude la strumentale "Russian Roulette", e nemmeno qui i nostri perdono un colpo.Calmo intro di tastiera,chitarra che irrompe a far casino (ma mai il casino è stato così ben accetto!). I riff sono, manco a dirlo, granitici e spaccaossa. Ottima prova generale di tutti gli strumenti. Il disco non poteva essere chiuso meglio. Non esistono purtroppo ristampe su CD di questo LP,minato tra l'altro da una produzione scadente,ma in quegli anni era la norma, considerando che in Italia non dovevano esservi molti produttori di rock esperti.

I testi non sono nulla di eccezionale, ma perlomeno si attestano sul discreto, in varie critiche alla società del tempo,a dire il vero non originalissime. Ma se è l'originalità che cercate, lasciate stare questo lavoro. Se invece cercate dell'heavy metal puro come alla fonte, energico, solare e grezzo che pare forgiato nelle acciaierie dove lavoravano i Vanadium, ascoltatelo e non ve ne pentirete.

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