Una profezia dell'Antico Testamento. Una visione apocalittica. Un viaggio nel tempo nel segno di un disperato tentativo di mutare il proprio destino. L'approdo alla mitica Gerusalemme del 33 d.C. Sono questi gli ingredienti della magica miscela di religiosità (inquietante e angosciosa) e fantascienza chiamata "The Seraphic Clockwork", il nuovo lavoro dei Vanden Plas. La band tedesca, dopo l'ottimo "Christ 0", propone un altro concept album, che si inserisce di prepotenza nella cerchia dei migliori dischi del 2010.
Al primo ascolto, "The Seraphic Clockwork" potrebbe sembrare un normalissimo album prog-metal: canzoni estremamente lunghe (la conclusiva "On My Way To Jerusalem" dura quasi 13 minuti), una struttura dei brani classica del genere, un sound influenzato dai Kamelot di "The Black Halo" e dai soliti Dream Theater. Però non è così. Questo lavoro non è una goccia nell'oceano, è un diamante tra le ametiste. In due parole, si distingue.
L'opening-track "Frequency" fornisce all'ascoltatore le coordinate entro cui si inquadra l'intero lavoro: nel pezzo si alternano i riff aggressivi della chitarra di Stephan Lill e gli intermezzi delle tastiere ammalianti di Günter Werno, accompagnate qui da archi soavi. I due non si rubano mai la scena, impreziosendo i brani con la magistrale compenetrazione dei loro strumenti. La splendida voce del frontman Andy Kuntz distende e fluidifica, narrandoci le disavventure del viaggiatore con un potere di coinvolgimento notevole.
Se già nella prima parte del disco è presente un'ascosa drammaticità, penetrata nelle vene del gruppo anche grazie alla recente produzione di musical (tra cui "Jesus Christ Superstar" e "Hair"), è indubbiamente la seconda parte a rendere "The Seraphic Clockwork" un capolavoro. I Vanden Plas si distaccano parzialmente dai tratti tipici del loro stile- a cui le prime tracce sono fortemente legate- componendo pezzi quali "Quicksilver" e "On My Way To Jerusalem", resi vere e proprie perle dai toni epici, la varietà dei suoni, il sapiente uso dei cori, la chitarra acustica e un fenomenale songwriting. "Eleyson", bonus track cantata in francese, strappa gli ultimi meritati applausi.
Anche se le tracce sono lunghe, è evidente come nulla sia lasciato al caso: ogni suono è funzionale all'economia del disco, smantellando ogni parvenza di ridondanza. I Vanden Plas sono bravissimi a proiettarci nelle visioni e nei viaggi del protagonista, trasmettendoci un'emotività che è veramente arduo reperire nelle opere di un genere tecnico e "glaciale" come il prog-metal. L'unico difetto degno di nota, spiace dirlo, risiede nella voce di Kuntz: pur essendo un singer dotatissimo, all'ugola di Andy mancano quei toni "graffianti" che in alcuni pezzi ("Sound Of Blood" su tutti) avrebbero giovato, e non poco. Ma, dopotutto, questa è l'anima stessa dei Vanden Plas: una band forse non molto fascinosa, che però in termini di professionalità e affidabilità è seconda davvero a poche.
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