1988. Vero annus mirabilis per il metallo nostrano: uscirono infatti "...In Death Os Steve Sylvester" dei Death SS, "Rock'N'Roll Prisoners" della Strana Officina, "Neurodeliri" dei thrashers meneghini Bulldozer e questo "Back From The Ruins" dei savonesi Vanexa. L'album è in sè una grande sorpresa: in un periodo, la fine degli anni '80, in cui la NWOBHM poteva ormai considerarsi morta, soppiantata dalla violenza del Thrash o da sonorità più Glam e piene di sintetizzatori, il quartetto savonese realizza questa convincente opera di puro e trascinante Heavy Metal classico.

Il disco si apre con la violentissima "Midnight Wolves", quasi speed metal, introdotta da bizzarri suoni "spaziali", subito spazzati via da un riff di chitarra aggressivo, come appunto sarà l'intero pezzo, caratterizzato da veloci e furiosi fraseggi di chitarra: velocità, potenza e cattiveria, un vero inno al Metal, e quando Marco Spinelli ci dice "Tonight is for the music/ tonight is for the gear" viene davvero voglia di alzare al massimo il volume e fare headbanging fino allo sfinimento. La successiva "Blood-Money", in stile vagamente Saxon, è meno veloce, ma tiene sempre alto il livello, anche grazie ad una parte lenta verso la metà del brano, che mantiene viva l'attenzione e nella quale risalta l'interpretazione del batterista Silvano "Syl" Bottari. Segue la mia preferita, "Creation": introdotta da un meraviglioso arpeggio acustico del chitarrista Roberto Merlone, supportato dal basso di Sergio Pagnacco, parte una delle highlights dell'album; l'arpeggio sfocia poi in un vigoroso riff di chitarra elettrica, deciso ma non veloce, cosa che rende il brano un piacevole mid-tempo quasi epico in certi passaggi, ma mentre chiunque si sarebbe aspettato un finale sfumato per la canzone, i Vanexa sorprendono l'ascoltatore con un improvviso cambio di tempo, all'urlo: "Rock'n'Roll!!" del cantante, che si lancia in un dialogo sempre più serrato con la chitarra di Merlone, lanciato in un assolo veloce e quasi catartico, dove il picco del piacere si raggiunge con l'acuto del vocalist, che dà come il via ancora una volta al chitarrista per una conclusione ancora più veloce che si consuma nelle orecchie estasiate dell'ascoltatore ora sì, sfumando, mentre la chitarra va inesorabilmente in crescendo. Uno dei miei pezzi preferiti in generale. Grazie Vanexa!

Dopo questa canzone-capolavoro, che alcuni possono trovare un pò troppo classico ma che io al contrario ritengo un pò troppo eccelso, arriva in faccia all'ancora sognante ascoltatore la violenza di "It's Over", con riff velocissimi e una batteria potente e precisa, un pezzo violento e compatto, metallico a tutti gli effetti, interrotto da una parte più lenta ma dai toni comunque molto cattivi, con un assolo finale trascinante al massimo. Segue "Hanged Man", quadrato e deciso, ma con un punta malinconico (non poteva non essere così, dato anche il titolo), che si trasmette anche all'assolo di merlone e che sfocia in un intermezzo acustico di grande presa, triste e al tempo stesso coinvolgente, nel quale si fa strada la chitarra elettrica, in un ultimo assolo che vorreste non finisse mai e che vi lascia paradossalmente un senso di malinconia dal quale non voreste più liberarvi, parola mia! A questo punto, mentre siete ancora presi dal pezzo precedente, segue, struggente, la ballad dell'album: "Night Rain On The Ruins", introdotta da un delicato arpeggio acustico, dove si inserisce la voce di Spinelli e si fa spazio pian piano la batteria: sono circa cinque minuti di delizia assoluta, coronati dulcis in fundo dall'arrivo della chitarra elettrica che, pur nella sua potenza sonora, mantiene intatta l'atmosfera creata, non si lancia in assoli o virtuosismi che qui sarebbero inutili, ma nella sua compostezza e solennità regala un altro momento altissimo. La successiva "We All Will Die" abbassa un po' secondo me il livello, ma del resto sarebbe stata una vera impresa tenerlo alto per tutto l'album, comunque il pezzo si segnala per un eccellente lavoro di cesello della chitarra. Chiude il disco "Hiroshima", che coniuga l'insegnamento dei grandi Judas Priest con la velocità degli Iron Maiden, una song allegra e veloce che non si segnala particolarmente, ma che cionondimeno risulta molto piacevole.

Questo, come molti altri della scena nostrana, è un disco da scoprire, e non aggiungo altro. Forse non avrà fatto epoca, forse non avrà detto niente di nuovo, forse non sarà stato nemmeno all'avanguardia, ma questo è un lavoro fantastico, lo consiglio a chi ha voglia di ascoltare qualcosa di fatto bene e col cuore. Concludo con due cose: 1) mi scuso se mi sono lasciato prendere un po' troppo la mano, soprattutto parlando di "Creation", ma quella canzone in particolare mi trasmette emozioni vere che non riesco mai ad esprimere compiutamente; 2) GRAZIE VANEXA!!!

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