Il Vangelis di "Invisible Connections", album del 1985, è un musicista molto diverso da quello noto per i temi cantabili delle sue colonne sonore (Momenti di gloria, Blade Runner, e altre). In questo caso di cantabile c'è ben poco, essendo la melodia cancellata senza tanti complimenti. Anche armonia e ritmo si fanno notare, ma per la loro assenza: accordi e arpeggi vengono sostituiti da puntillismo sonoro in quantità e l'orecchio non ha nessun beat o accento al quale appigliarsi.
La musica di "Invisible Connections" ha dunque un taglio sperimentale, procede per associazioni libere di suoni più o meno riconducibili tra loro. Molto anticonvenzionale.
La title-track in apertura esemplifica bene l'atteggiamento del musicista greco: su 18 minuti di durata, i primi otto sono occupati da suoni di pianoforte preparato e percussioni (soprattutto pelli, talvolta il tintinnare dei metalli), abbondante riverbero ed effetti di ritardando e accelerando dovuti alla manipolazione in studio; poi il brano volta pagina e si affida a sonorità elettroniche nei restanti dieci minuti.
Gli altri due titoli, "Atom Blaster" e "Thermo Vision", sono in realtà due parti (7 e 13 minuti) di uno stesso brano: un'ampia sequenza di impulsi elettronici, separati da pause, che lasciano lunghe scie di riverbero.
È un album particolare, questo, nella discografia di Vangelis: curiosamente uscito per la Deutsche Grammophon, etichetta di musica classica tra le più prestigiose al mondo. Un ascolto interessante, ma è d'obbligo l'avvertenza che questa musica non è né facile né distensiva. All'ascoltatore non vengono offerti momenti di intrattenimento quanto piuttosto il compito di rintracciare le connessioni invisibili tra questi suoni, come il titolo suggerisce.
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