L’approccio verso un tribute album è sempre difficile: le canzoni dell’artista o del gruppo che si ama pargono sempre inferiori, magari si arriva pure ad odiarle, rieseguite da un altro interprete. Bisogna dire anche che vi sono stati episodi abbastanza felici come, il primo che mi viene in mente, “I Don’t Want to Grow Up” di Tom Waits rieffettuata dai Ramones, ma, tornando al discorso di prima, l’approccio dei padiglioni auricolari di un fan verso un tribute album è sempre diffidente e molto più critico.

Il disco di cui mi accingo a parlare non rende omaggio ad un gruppo qualunque ma ai Led Zeppelin, band che forse, assieme ai Pink Floyd, ai Queen e, soprattutto, alla triade Beatles-Who-Rolling Stones, sono il più gruppo rock più famoso della storia. Questo A tribute to Led Zeppelin non è uno di quei tribute album contenenti solo ed esclusivamente le tracce più famose dell’artista in questione riproposte nella medesima maniera dell’originale, ma al suo interno sono presenti cover che osano maggiormente, dal momento che si spazia da generi come il country e il reggae, molto, in particolare quest’ultimo, distanti dall’opera zeppeliana. Conviene quindi, scusate se vi faccio riallacciare all’introduzione, cambiare l’approccio a questo tipologia di disco, almeno in questo caso: bisogna affrontare l’ascolto di questi brani non come “migliore” o “peggiore”, bensì come “diverso”, come, piacevole o sgradevole secondo i gusti, versione alternativa di una canzone che, magari, si ha amato per anni. E, in questo modo, si può ascoltare questo disco senza imprecare gli sfortunati re-interpreti della situazione e, di conseguenza, si può sopportare persino una “zumpappata” “Starway to Heaven” in versione jamaicana con tanto di accordi in levare, organo Hammond e strumenti tribali annessi ed ancora ascoltare con interesse come il riffone di “Kashmir” si trasformi da un “pageiano” impeto mistico ad una spensierata melodia reggae ad opera dei simpaticissimi Dread Zeppelin, già famosi per altre cover in salsa reggae della leggendaria band britannica.

Ma non temete, cari fan dei Led Zeppelin, il lavoro qui recensito non contiene solo potenziali cause di infarto come le suddette versioni di “Stairway…” e “Kashmir” ma racchiude anche rifacimenti più canonici e conformi, ma non troppo, allo stile del Dirigibile di Piombo come la grintosa “Immigrant Song” dei Gotthard o la sensuale “Rock and Roll” dei Red Star Rebels. La voce e la chitarra di Zakk Wylde rendono perfettamente nella versione di “In My Time of Dying” dei Black Label Society, mentre altri episodi che hanno colpito, sia positivamente che negativamente, il sottoscritto (e che mi hanno spinto a scrivere le “avvertenze per l’ascolto” qui sopra), sono state “Black Dog” in chiave country degli Hayseed Dixie, (già famosi per altre cover reggae dei Led Zeppelin) e le Blonde on Blonde che riarrangiano “Whole Lotta Love” alla Bee Gees. Infine, prima di sconfinare in una noiosa track-by-track, bisogna segnalare la bellissima cover, ancora una volta di “Stairway to Heaven”, del favoloso duo messicano di chitarristi classici Rodrigo y Gabriela.

Per ultima, la necessaria, dal momento che non ho citato tutte le tracce, tracklist:

1. American Dog – Hot Dog

2. Pig Iron – When The Levee Breaks

3. Hayseed Dixie – Black Dog

4. Blackbud – Babe, I’m Gonna Leave You

5. Red Star Rebels – Rock and Roll

6. The Dickies – Communication Breakdown

7. Joe Bonamassa – Tea for One

8. Rodrigo y Gabriela – Starway to Heaven

9. Blonde on Blonde – Whole Lotta Love

10. Dread Zeppelin – Kashmir

11. Black Label Society – In My Time of Dying

12. Gotthard – Immigrant Song

13. Vegimite Reggae – Stairway to Heaven

Null’altro da dire. Sorprendente ed alternativo. Per i fan degli Zeps più curiosi.

Se lo scopo di un tribute album è quello di sperimentare e riproporre in gusti diversi le canzoni dell’artista omaggiato, questo merita il massimo dei voti.

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