In tantissimi mi avete contattato privatamente durante questi mesi bui e tempestosi, implorandomi di ricondurre la luce su questi lidi e di diffondere tra le volgari masse la conoscenza del garage punk.

Nonostante la proverbiale ritrosia e l’innata modestia che mi contraddistinguono, nonostante rifugga dall’essere un eroe per gli ignavi ed una stella per chi necessiti di una guida, ho constatato come il garage punk latiti anziché no su queste pagine, per cui …

Per cui beccatevi «Be A Caveman – The Best Of The Voxx Garage Revival»!

Pensate che il garage sia quel localaccio malandato in cui stipate le vostre cianfrusaglie? Quale sia il significato di Voxx lo avete smarrito nella notte dei tempi, e siete già alla disperata ricerca della vostra sbrindellata copia de “IL”? I nomi di Greg Shaw e Shelley Ganz non vi suonano familiari nemmeno un po’?

È semplice, siete ignoranti; ma a tutto c’è rimedio e «Be A Caveman» è quello che fa al caso vostro.

C'è stato un tempo – la fine degli anni Settanta, suppergiù – in cui la musica brutta spuntava da ogni dove e nemmeno il movimento punk riuscì a fare pulizia: suoni artificiali, sintetici e plasticosi resistevano come la gramigna resiste al ddt e si facevano largo, traviando le giovani menti.

Ma in quegli stessi tempi, qualcuno resisteva e nella clandestinità pianificava la controffensiva: DMZ, Chesterfield Kings, Crawdaddys erano gli eroi di quei tempi e un certo Greg Shaw edificò per loro un fortino inespugnabile. Quel fortino era la Voxx.

Nel 1979 i Crawdaddys afferrarono il coraggio a due mani e mostrarono al mondo brutte grinte, capelli lunghi e gli abbigliamenti ormai down-to-date scartati dai loro fratelli maggiori.

Con loro, avevano soltanto chitarre, bassi, batterie e pianole di seconda mano, venduti a poco prezzo nei rari negozi dei paraggi.

Di seconda mano era anche la musica che suonavano, imparata ascoltando certi 45 giri che da tanto giacevano dimenticati sugli scaffali di una discoteca ad accumulare polvere e proprio perciò avevano attirato la loro attenzione, oltre che per i curiosi nomi degli autori: Chocolate Watchband, Electric Prunes, Marshmallow Overcoat accendevano fantasia ed ispirazione più che la benzina gettata sul fuoco.

Musica derivativa, senza alcun dubbio.

Ma quelli furono anche gli anni del punk. E nonostante furono tanti i punk a sputare sul passato, i ragazzi della Voxx fecero esercizio di saggezza (???) e conclusero che se avessero continuato a sputare prima o poi si sarebbero trovati a sputare contro il vento e gli sputi sarebbero tornati a loro con ben maggiore virulenza: fuor di metafora, compresero che nei solchi di «Nuggets» – uno di quei dischi polverosi che avevano ripreso in mano – c'era tanto punk quanto ce n'era negli improbabili inni di Dead Boys e Pagans, tutto qui.

I Crawdaddys furono i primi ad uscire allo scoperto e con loro uscì allo scoperto la Voxx: era il 1979, l’anno di «Crawdaddy’s Express», e quello fu il primo lp su cui venne stampigliato il marchio Voxx. Sulla copertina, i musicisti erano ritratti arrampicati su una vecchia locomotiva; la musica che veniva fuori dai solchi correva altrettanto veloce di un treno a vapore.

Le porte del fortino erano state spalancate.

Di là passò tanta bella gente, dopo i Crawdaddys.

I DMZ ed i Chesterfield Kings, ovviamente; i Barracudas ed i Plan 9; gli Unclaimed ed i Gravedigger V; i Tell-Tale Hearts ed i Miracle Workers; e pure i Fuzztones e le Pandoras.

Nessuno avrebbe scommesso un dollaro bucato su quegli scriteriati ma, contro ogni logica, loro scalfirono una breccia profonda nel muro di musica artificiale, sintetica e plasticosa allora imperante ed ancora oggi sono meritoriamente celebrati come gli eroi di un’epoca, breve ma davvero intensa per emozioni e passioni.

Al loro fianco, tanti altri eroi di egual valore, seppur di minore fama.

Allora guai a scordarsi dei Vertebrats e di «Left In The Dark», e di loro non si scordarono i Replacements che “Left In The Dark” la coverizzarono degnamente; i bostoniani Time Beings ed Odds, questi ultimi a rifare con entusiasmo punk gli Shadows Of Knight; il Surf Trio, che suonava surf come fossero i Ramones; i grandissimi Vipers, che invece suonavano come avrebbero suonato i Beatles se solo si fossero asserragliati nel fortino insieme agli altri; i Cynics; gli svedesi Stomachmouths, che urlarono insieme ai Nomads che in Svezia non c'erano soltanto gli Abba; gli Hypstrz, che avevano un nome meno pronunciabile di un codice fiscale, e fecero un disco solo (perdipiù dal vivo) che era pura dinamite, quasi tutte cover, tra cui una devastante «In The Midnight Hour».

E poi ancora Wombats, Laughing Soup Dish, Eyes of Mind, Things, Leopards, Event e gli eccezionali Steppes: suonavano chi merseybeat, chi garage-punk, chi psichedelia; qualcuno riuscì a pubblicare un lp, qualcuno un singolo, qualcuno non pubblicò niente ed una propria composizione la vide pubblicata per la prima volta proprio in «Be A Caveman».

Tutti questi eroi, oggi, si sono ritirati nel fortino, lasciando ad altri le posizioni di avanguardia:

quello di oggi non è più il garage-punk revival sferragliante di fine Settanta / inizio Ottanta ed è meglio così, perché quella fu una stagione irripetibile.

Se siete arrivati fin qui, significa che avevate tempo da perdere. Io spero, soltanto, di essere riuscito a trasmettervi una dose infinitesima della passione che trasudano queste note; sennò, chi volesse afferrare la forza dirompente del garage-punk revival, perda un minuto in più ad ascoltare «Be A Caveman» la canzone dei Dwarves che titola e chiude questa bellissima raccolta, perché di certo è molto più eloquente di tutte le parole che finora ho speso.

I Dwarves sbarrarono la porta; il fortino della Voxx era ed è inattaccabile.

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