Dedico questa recensione a tutti quelli cui i termini "Garage-Punk", "Paisley Underground", "Power Pop" e "Aussie Rock" non dicono assolutamente nulla. Agli altri furboni auguro quanto meno di non annoiarsi a leggere questa mia e li invito a dire la loro se, quasi sicuramente, dirò qualche inesattezza (mi paro un pò il culo và!).
Nel 1972 un certo Lanny Kaye, poi divenuto chitarrista del Patti Smith Group, ebbe la geniale idea di assemblare su disco una serie di dimenticati 45 giri degli anni '60, di perlopiù oscuri gruppi americani, ormai irreperibili. La raccolta, Nuggets, è di un'importanza incredibile. Il popolo rock, semiaddormentato da soporifere nenie West-Coast in USA e dall'altrettanto catalettico Rock sinfonico/progressivo dall'altra parte dell'oceano scoprì una musica ancora fresca e incontaminata, lontana anni luce dalle ridondanze e dagli assolo imperanti in quegli anni. Il Sixties Punk, come era stato definito, risvegliò nella gente, e soprattutto nei futuri punk heroes, il sopito interesse per questa musica selvaggia e primordiale: COUNT FIVE, SEEDS, STANDELLS, ELECTRIC PRUNES i principali attori che avevano proposto tra il 1965 ed il 1968 un misto di rock and roll primigenio e sapori proto-psichedelici, sull'onda degli umori che provenivano dalla Gran Bretagna da gente come BEATLES, ROLLING STONES e KINKS. Il doppio album divenne la Bibbia di pericolosi teen-agers che in seguito si chiameranno RAMONES, DEAD BOYS, SEX PISTOLS, CLASH, TELEVISION ed inventeranno quella cosa che ancora adesso si chiama Punk. La Rhino Records nel 1998 ha ristampato l'opera aggiungendoci, così tanto per gradire, altri tre CD con gruppi immeritatamente lasciati fuori nell'edizione originale, altre pepite: MUSIC MACHINE, LITTER, SONICS. Evidentemente l'iniziativa ha avuto successo se, fino ad oggi, altre tre serie Nuggets sono state prodotte: quella sui gruppi psichedelici freak-beat extra-americani, quella sulla stagione d'oro del flower-power di San Francisco e questa: i figli di Nuggets, che propone una serie di perle anni ottanta in qualche modo assimilabili al periodo magico del garage rock storico.
Questo cofanetto (quattro CD per un totale di 100 canzoni!) è forse il più controverso della serie perchè, secondo me, inserisce anche gruppi e sonorità che c'entrano ben poco con il sound originale sixties, ad esempio mi paiono fuori tema gli SCREAMING TREES di "Even If And Expecially When" più vicini al Grunge casomai o i DUKES OF STRATOSPHEAR, XTC in incognito che fanno si psichedelia ma con tinte decisamente British. Ma andiamo con ordine.
Nel rispetto della più totale, morbosa immedesimazione con il sound originale si pongono gli UNCLAIMED dello strano Shelley Ganz, un personaggio che ha fermato il suo calendario al 1967; il suo scopo nella vita è quello di fare la canzone sixties-punk perfetta (secondo lui "Little Girl" dei SYNDICATE OF SOUND è il modello da seguire). Non ci riesce ma ci và vicino: "No Apology" inserita in raccolta sembra - è - un outtakes dei MUSIC MACHINE. Molto meno stoici ma sempre in ambito Garage, ci sono anche - secondo me i migliori - LYRES dell'ex DMZ Jeff Conolly, le BANGLES pre-successo planetario di "Manic Monday", le più incisive PANDORAS, i CRAWDADDYS di San Diego, città che ha sfornato un'incredibile quantità di gruppi neo-garage (i mitici GRAVEDIGGER FIVE poi diventati MORLOCKS, i TELL TALE HEARTS). Poi ancora i Beatles-oriented VIPERS, e i CHESTERFIELD KINGS dell'altro invasato '67-dipendente Greg Prevost con il primo 45 giri - non cover - "She Told Me Lies". Altro gruppo importante sono i fantastici MIRACLE WORKERS colti logicamente prima della svolta stoogesiana di "Overdose". Poi i DROOGS attivi già da parecchio ma che solo nell'82, in pieno sixties revival, hanno avuto l'opportunità di farsi sentire. Altre canzoni non propriamente Garage perchè già contaminate da effluvi pop sono quelle di THREE O' CLOCK (con la voce mielosissima, a tratti stucchevole di Michael Quercio, toh! un oriundo), gli alfieri del più classico Power-Pop INMATES, PLIMSOULS e DB's. La scena newyorkese è ben rappresentata da bands già attive negli anni 70 con concerti memorabili al CBGB's: CRAMPS e FLESHTONES.
Non solo neo-garage nella raccolta e non solo America. In Australia a metà anni settanta nasceva una piccola scena che - apparentemente - non aveva nessun aggancio con ciò che stava accadendo nell'emisfero opposto. Gruppi seminali come RADIO BIRDMAN e SAINTS proponevano un sound arrabbiato e diretto all'insaputa di Ramones & Co. Da questi semi sono germogliate le gemme di LIPSTICK KILLERS, LIME SPIDERS i meno ruvidi STEMS e HOODOO GURUS ed i più complessi e psichedelici DIED PRETTY. Tutti ottimi i gruppi australiani; non angustiati da turbe esistenziali tipiche delle civiltà fortemente industriali, sfornano semplice e diretto rock'n'roll senza tante menate, ispirati forse dai colori del cielo rosso sangue nell'immensità del deserto. Una menzione particolare per gli immensi CHURCH, dolcemente sixties, hanno avuto un excursus creativo che li pone fra i grandi del rock.
Torniamo in America. A metà anni ottanta è nata una scena - definita Paisley Underground - che raccoglieva bands che riproponevano un ritorno alle origini, alle radici del rock americano di BYRDS e NEIL YOUNG. Questi gruppi, con le loro camicie a fiori (Paisley appunto) erano accomunati inizialmente dal forte desiderio di reinterpretare il classico sound americano "dal di dentro" attualizzandolo alla luce di quanto il punk aveva insegnato, non stravolgendolo però ma rinnovandolo con innesti psichedelici come i DREAM SYNDICATE, con virate più hard come i GREEN ON RED o più country come i LONG RYDERS. Assieme ai soffici RAIN PARADE ed ai TRUE WEST queste bands ebbero una stagione d'oro e forse rappresentarono la prima forma di cross-over (classic rock/new wave) in assoluto.
Permettetemi di menzionare anche i sorprendenti CHILLS, band neozelandese che mi ha colpito in modo particolare con il pezzo "Pink Frost" tenue canzone ammorbata di psichedeliche tinte joidivisioniane. E già che ci siamo i perfetti SUN DIAL con quel "Plains of Nazca" che appare sul loro primo storico LP, più psichedelico della stessa psichedelia. E' indubbiamente una bella raccolta questa, indirizzata principalmente a chi non mastica questo genere di musica e che quindi può farsi una vaga idea di quello che è successo sottocoperta.
Elenco e tracce
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Altre recensioni
Di tiziocaio1
Potremmo tranquillamente definire questa come La Compilation per eccellenza, una sorta di Bignami di un movimento che prendeva vita negli anni '60.
Un documento sonoro che, senza l’ausilio di Kaye sarebbe potuto finire nel nulla.