Se il morente mercato discografico è, dati alla mano, tenuto in vita dal mercato delle ristampe, allora l’etichetta di Seattle Light In The Attic andrebbe considerata l’Alexander Fleming dei dischi. Eh sì, perché, come la penicillina salvò milioni di vite in pochissimi anni, così le continue e interessanti scoperte archeomusicali dell’etichetta ridiscutono la topografia della mappa rock dai ’60 ad oggi, riportando alla luce dischi dimenticati, il tutto con una professionalità encomiabile (packaging sopra la media, rimasterizzazioni da master tapes originali, inserti con profusione di liner notes). Risultato: da piccola realtà nel 2006, oggi la Light In The Attic continua ad aprire uffici e ad assumere persone, e nel 2013 ha finalmente fatto il botto con l'Oscar al documentario “Searching For Sugar Man” da loro prodotto (fu difatti l'etichetta di Seattle a ristampare i dischi di Rodriguez nel 2008).

Non fa eccezione questa compilation del 2012, che fa luce su un genere-non genere di cui, ammetto candidamente, non avevo mai neanche sentito o letto qualcosa. Sì perché, come scritto nell’esplicativo booklet: “What in the hell is Country Funk?

Risposta inesistente, viene da dire, perchè termine postumo e mai usato al periodo, ma che ben riassume il filo conduttore che percorre le 16 tracce contenute. Brani figli di un sentire comune, ma concepite ai quattro angoli degli States, da bianchi e neri indistintamente, tutti insieme a condire di chitarre slide e umori sudisti e campagnoli, torridi ritmi funk infarciti di fiati e bassi profondissimi. E viceversa. Bianchi che suonavano più colored e groovy di James Brown e neri in veranda a bere whisky distillato a casa, fra canneti e cappelli di paglia. Inconcepibile, ma vero.

Note socio antropologiche a parte, è la qualità altissima dei brani che spicca prepotentemente. A partire dall’iniziale “L.A. Memphis Tyler Texas” di Dale Hawkins (concepita nelle tre suddette città): fiati soul, fraseggio di chitarra slide, flauto in mezzo a scompigliare le carte. Simile risultato in “Georgia Morning Dew” di Johnny Adams, più virata sul lato soul tout court. Sarebbe da citarle tutte ste benedette 16 tracce, da una “Hawg Frog” direttamente dalle paludi della Louisiana, estatica e mistica come un Dr. John nero (tra l’altro omaggiato da Johnny Jenkins che trasfigura in messa country la famosa “I Walk On Gilded Splinters”); un incredibile fuzz/funk gospel come “Stud Spider” di Tony Joe White; un’improbabile Dennis The Fox che nella sua “Piledriver” sembra Tom Jones inchiodato sotto il sole di un funky soul torridissimo; “Bayou Country”, in pratica una canzone degli Eagles tramutata in una ballad contemporaneamente nera e bianca da tale Grit.

Per finire i pezzi da 90, strano a dirsi a firma di tre bianchi, ma sfido ad indovinarlo senza avere le copertine dei dischi sotto mano. “Lucas Was A Redneck” di Mac Davis, voce profondissima, ritmica funk, archi soul, armonica a tutto spiano, e testo anti redneck, forse il sincretismo perfetto dalle due anime della compilation. “I’m Gonna Make Her Love Me” inno sessuale, pastoso e sensuale. “Fire And Brimstone” di un insospettabile Link Wray (sì proprio QUEL Wray), incredibile incrocio fra chitarra quasi hillbilly, ritmica che più nera non si può, voce cavernosa, una specie di danza indiana ad omaggiare le origini Shawnee di Wray.

In poche parole, il Nuggets sia del country che del funk.

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