«Hey let's rock ... c'mon» mi esorta Rob Younger, introducendo «Like A Curse», alla guida di un manipolo di soldati rock'n'roll ribattezzato New Christs.
Caro Rob, è più di un'ora che sto roccando, rollando e pogando come un forsennato, considerato che prima di «Like A Curse» sono stato travolto da (giusti giusti) trenta brani di scatenato rock'n'roll, blues, psichedelia, punk, garage, power pop e chi più ne ha più ne metta. L'invito è comunque ben accetto, perché la strada da percorrere prima di arrivare alla meta si protrarrà ancora lungo diciannove frenetiche esecuzioni.
Questo è «Do The Pop», una strepitosa antologia che ripercorre in 50 brani la piccola leggenda del rock australiano - e neozelandese - tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli Ottanta.
Chi come me può definirsi uno splendido quarantenne, non potrà non ricordare con un moto di passione il punk evoluto dei Celibate Rifles, il pop-come-Dio-comanda degli Hoodoo Gurus, il garage ultra-grezzo dei Lime Spiders, il matrimonio in note tra Velvet Underground, Doors e Television officiato dai Died Pretty ed i suoni di tanti altri eroi oscuri che, parafrasando gli Hüsker Dü, hanno reso gli Ottanta, davvero, anni importanti.
È assolutamente certo che, in quel breve lasso di tempo, il Dio del rock scelse di dimorare agli antipodi, perché non si potrebbe spiegare altrimenti lo stato di grazia che colse le bands protagoniste del cosiddetto downunder rock'n'roll.
Per non parlare dei mostri sacri Radio Birdman e Saints, nei due cd che compongono «Do The Pop» sfilano in una sequenza mozzafiato Johnny Kannis e gli Hitmen (una travolgente miscela tra Beach Boys e Flamin' Groovies, virata hard), i Fun Things (la loro «Savage» è degna di finacheggiare autentiche pietre milari quali «Stranded» o «New Race»), gli Scientists (blues mefitico ed oscuro quanto - se non più di - quello dei primi Birthday Party), i Sunnyboys ed i Some Loves (entrambi autori di un power pop scintillante con richiami beat e R&B), gli Eastern Dark, gli Hard Ons e gli Exploding White Mice (figli degeneri dei Ramones) ...
E poi ci sono i due brani che chiudono il programma, di quelli che bastano a giustificare una vita.
Il primo è «At First Sight» degli Stems, creatura animata dal genio incommensurabile di Dom Mariani: bastino a testimoniarlo i dieci secondi iniziali, con la chitarra a ricamare un arpeggio jingle-jangle talmente delizioso da far invidia ai Byrds.
Il secondo è «I Swear» dei New Christs: semplicemente, da ventitre anni a questa parte, il rock'n'roll nella sua versione definitiva.
Avevi ragione Rob, il bello doveva ancora arrivare.
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