Lo scorso anno iniziai la recensione dell’Eurovision Song Contest 2009 di Mosca con una rapida considerazione sulla storia della kermesse nel Vecchio Continente, trovando stupefacente come la stessa fosse approdata proprio a Mosca, capitale del “fu” Impero Sovietico: un anno dopo mi ritrovo a commentare, forse con ancora più stupore, il ritorno della manifestazione in territorio Occidentale.
Da ormai molti anni, infatti, l’Eurofestival era monopolio dei Paesi dell’Est: Riga, Tallin, Kiev, Belgrado sono solo alcune delle città che hanno ospitato la manifestazione di recente, concedendo solo pochi sprazzi all’Occidente con Istanbul, Atene ed Helsinki, ma sempre con una schiacciante supremazia dei Paesi dell’ex-blocco sovietico nelle classifiche finali.
Già lo scorso anno, la vittoria della Norvegia con Alexander Rybak fu una mezza-sorpresa. Dico mezza perché Rybak è norvegese d’adozione: è nato in Bielorussia ed era comunque già conosciuto ed apprezzato in tutto l’Est europeo.
La vera novità è stata quest’anno, in quel di Oslo. Ma andiamo con ordine.
Data la crisi economica (e l’atteggiamento molto meno spocchioso dei norvegesi rispetto ai russi), l’organizzazione è stata molto più parsimoniosa rispetto all’edizione 2009. Bel palco, grande arena, ma sicuramente meno sfavillante rispetto a un anno fa: la crisi colpisce tutti, tant’è vero che da che è caduto il Muro, il 2010 è stata l’edizione col minor numero di Paesi partecipanti. A parte l’Italia e il Lussemburgo, che non partecipano da tempo immemorabile, hanno dato forfait Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Principato di Monaco, Repubblica Ceca, Andorra e Montenegro proprio per i gravi problemi economici in cui versano le rispettive TV nazionali. A rischio fino all’ultimo anche le partecipazioni di Macedonia e Grecia che fortunatamente alla fine non hanno dovuto rinunciare a quello che è l’evento mediatico più seguito al mondo dopo la finale dei mondiali di calcio.
Torna invece la Georgia, dopo la rinuncia dello scorso anno (non senza polemiche) data dalla situazione tesa col Paese ospitante (ricordiamo l’occupazione militare russa del Sud Ossezia e dell’Abkhazia).
Come ogni anno, circa un mese prima dell’inizio della manfestazione è disponibile nei negozi il doppio cd contenente tutte le canzoni in gara, per permettere al pubblico di familiarizzare coi brani e votare in maniera più consapevole.
Grandi favoriti quest’anno, l’Azerbaigian, che da quando è entrato per la prima volta nell’ESC tre anni fa ha sempre avuto posizioni di tutto rispetto (lo scorso anno terzo), con la giovane Safura e la sua "Drip Drop". L’esibizione è carina, la ragazza molto bella e non manca di omaggiare il compianto Michael Jackson. Safura non balla, ma indossa un guanto di paillettes blu (quello di Jackson era bianco) e, proprio come nel video di Billie Jean, al passaggio della giovane il pavimento si illumina. La canzone è carina, la sua voce potente ed educata. Se avesse vinto, credo nessuno avrebbe avuto di che lamentarsi.
Altri grandi favoriti i rumeni Paula Selig e Ovi con “Playing With Fire”. Sebbene la Romania non abbia fino ad oggi mai vinto l’Euroefstival, si è sempre piazzata molto bene: sempre entro i primi dieci posti. La canzone del duo è divertente, accattivante, ballabile. I rumeni si confermano quindi grandi mattatori dell’Euromusica.
Storicamente molto forte è anche la Turchia. Ultimamente la tendenza dei Paesi con una grande tradizione musicale (Regno Unito, Israele, Francia, Spagna) è quella di scegliere come rappresentanti ragazzi vincitori di talent-show o comunque emergenti per dar loro modo di farsi conoscere a livello continentale. La Turchia invece va in contro tendenza. Pur essendo uno dei massimi produttori di musica rock e pop a livello europeo, non ha mai scelto come proprio rappresentante un cantante o un gruppo che non fosse già sulla cresta dell’onda. Per tutto il 2009 s’era addirittura ventilata la possibilità che a partecipare quest’anno fosse il grande, grandissimo Tarkan, già star a livello mondiale, ma poi la TRT ha optato per i maNga, vincitori dell’MTV Turkey Music Award. Scelta azzeccatissima visto il piazzamento finale.
La Francia, invece, opta per il giovane Jessy Matador, un giovane ragazzone creolo la cui “Allez, Ola, Olé” promette di diventare il tormentone estivo in Francia e non solo. La canzone ha ritmi afro-caraibici, il testo è semplice (“è una bella giornata - questo è il suono dell’anno”), l’esibizione è divertente e se non altro porta una ventata di freschezza: basta il vecchiume tutto francese degli ulitmi anni (che infatti è sempre stato pagato con un ultimo posto in classifica).
La Germania risponde con la giovane, giovanissima Lena Meyer-Landrut e la sua “Satellite”. Devo ammettere che già dal primo ascolto pensai “stai a vedere che quest’anno la Germania fa il colpaccio”. Non pensavo potesse vincere, o almeno mi sembrava troppo, troppo difficile dato il solito discorso fatto dai Paesi dell’Est che si votano l’un l’altro, tagliando fuori dai piani alti della classifica i Paesi Occidentali. La canzone è carina, lei è fresca, timida ma divertente e il suo delizioso accento rende la canzone ancor più particolare.
Devo dire che quest’anno c’è stato un generale risveglio dell’Occidente: anche il Belgio, che negli ultimi anni nemmeno era mai arrivato alla finale, fa un’ottima scelta con Dom Dice e la sua “Me And My Guitar”, idem dicasi per i ciprioti Jon Lilygreen and The Islanders e la loro “Life Looks Better In Spring” che, dopo tempo immemorabile riconquistano la finale per l’isola di Venere.
Molto particolare e secondo me ottimo anche il pezzo dell’estone Malcom Lincoln dal titolo “Siren”. Avrebbe meritato la finale e un buon piazzamento, invece non va oltre la semifinale. Vagamente polemici i lituani InCulto che con la loro “Eastern European Funk” danno una tiratina d’orecchie agli spocchiosi Occidentali cantando “costruiamo le vostre case e laviamo i vostri piatti”, ricordandoci che fanno anche loro parte dell’Unione Europea. A mio giudizio sono apprezzabili anche la lettone Aisha che canta “What For”, la maltese Thea Garrett con “My Dream” le croate Feminem con “Lako Je Sve”, purtroppo tutti tagliati fuori dalla finale.
Altre buone esibizioni quella del bosniaco Vuksin Brajic e la sua “Thunder and Lightning”, la bellissima e conturbante armena Eva Rivas con “Apricot Stone”, la talentuosa georgiana Sopho Nizharadze con “Shine” (la giovane ha di recente interpretato Esmeralda nel musical “Il Gobbo di Notre Dame” del nostrano Riccardo Cocciante) e l’israeliano Harel Skaat e la sua “Milim” (Parole).
Come ogni anno non mancano esibizioni kitsch e trash, come il serbo Milan Stankovic e la sua “Ovo Je Balkan” (Questi Sono i Balcani) - i serbi non mancano mai di lasciar trapelare il loro fastidioso ultranazionalismo anche in una manifestazione cosmopolita come l’Eurovision Song Contest - e l’olandese Sieneke e la sua “Ik Ben Verliefd” (Sono Innamorata). Il primo passerà il turno e arriverà in finale (a spese, a mio giudizio, di pezzi molto migliori come la già citata lettone Aisha o del macedone Gjoko Taneski e la sua “Jas Jam Imam”), la seconda verrà stroncata con un ultimo posto nella semifinale.
La finale di sabato 29 maggio è come sempre una grande festa. Terminate le varie esibizioni, per dar modo agli europei di votare, si da spazio a vari numeri ed esibizioni. È stato emozionante soprattutto vedere come, in collegamento con le maggiori piazze d’Europa (ovviamente niente Piazza del Duomo, Piazza di Spagna o Piazza San Marco), giovani di tutta Europa si esibivano in contemporanea nello stesso (semplice) balletto sulle note di un pezzo dance di un dj norvegese: è proprio questo che si intende con l’espressione “la musica unisce”. Un bel messaggio, forse un po’ scontato, ma sicuramente d’effetto.
Elaborati i dati dei televoti e delle giurie si passa alla vera fase finale dello show, quando i conduttori si collegano via via coi vari paesi partecipanti che comunicano i loro voti, dall’1 al 12.
Parte subito benissimo la giovanissima tedesca Lena, da subito incredula. Vanno molto bene anche i danesi N’Evergreen e Chanée che si erano poco prima esibiti con “In a Moment Like This”, e i ‘soliti grandi’ Turchia, Romania ed Azerbaigian. Anche l’Armenia va molto bene, ed è una sorpresa vedere come anche Belgio e Francia tengono. Ma la freschezza, simpatia e, se vogliamo, dolcezza di Lena conquista l’Europa. Dopo poco è già chiaro che si tratta di un testa a testa tra Germania, Turchia e Danimarca. Ogni tanto ci sono tentativi di ripresa azeri, rumeni o belgi, che però non riescono più a riprendere i tre, che poi diventano due, quando anche la Danimarca viene tagliata fuori dalla corsa alla vittoria. È una sfida tutta tra turchi e tedeschi: i maNga non lasciano trapelare grandi emozioni: si limitano a sventolare la loro bandiera nazionale e sorridere, mentre Lena è incredula: segue l’andamento delle votazioni stando seduta avvolta nel tricolore tedesco, immobile, con le mani sulla testa e gli occhi sgranati puntati sul monitor. È prima in classifica e comincia, lentamente, a distaccare i turchi. La Germania non vinceva un Eurofestival dal lontano 1982, quando ancora a partecipare erano solo i paesi Occidentali (più l’allora Jugoslavia) ed era molto più facile vincere data la scarsa concorrenza. È anche la prima vittoria della Germania Unita, e Lena ne è fautrice.
Anche quest’anno non mancano i “voti incrociati”: la Turchia assegna i suoi 12 punti all’Azerbaigian, che restituisce il favore (ma in questo caso è impossibile dire se si tratti solo di voti dati in base ad affinità etniche, in quanto la posizione dei due Paesi panturchi alla fine sarà di secondo e quarto posto, a riprova della buona prestazione dei propri rappresentanti), la Grecia assegna 12 punti a Cipro che fa lo stesso coi cugini ellenici e via dicendo per Russia e Ucraina, Norvegia e Islanda e così via. Ma la supremazia tedesca è sempre più marcata man mano che si va avanti. Alla fine Lena trionfa con 246 punti contro i 170 dei maNga.
Quando finalmente viene ufficializzata la vittoria tedesca, la giovane è attonita, stordita: nel momento in cui le viene avvicinato il microfono per una dichiarazione, è in grado solo di farfugliare “Mein gott” e “dankeschön”; quando le viene ricordato che, essendo la vincitrice, deve offrire una nuova esibizione, sembra cadere dalle nuvole e chiede “Do I really have to sing now?” (Devo veramente cantare adesso?). Fa simpatia Lena Meyer-Landrut: è naturale, carina, spiazzata ed emozionatissima: anche per questo, forse, conquista il cuore degli europei e porta a Berlino, dopo quasi trent’anni, l’Eurovision Song Contest.
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