Folgorato sulla via di Reykjavik fin dal loro primo vagito, lo shock fu così violento che mai - mi promisi - avrei lasciato al caso le successive opere di quei fanciulli che giuravo essermi entrati, sfondando la porta, nel cuore.
Ah, ma la felicità è fuggevole, miei cari, e lo stesso tempo passa poiché esso non è fatto che per lasciarci cari ricordi.
Così, dal primo lavoro di capillare distribuzione internazionale (quel "Agaetis Byrjun" di notevole impatto, di cui non starò quì a declamare le lodi) il passo in discesa fu breve seppur inaspettato: "()" stendeva nell'aria una litania a fosche tinte - dolce e soffusa - ma morbosa nel suo aggrovigliarsi fra le medesime spire (mai un guizzo, mai un salto nel vuoto).
Dov'era finito quel talento visionario che mi turbò in quei giorni mai più mi fu dato di sapere - e dell'alieno della copertina che alloggiava i miei sogni mai più vi fu traccia.
Tra le due cose, poi, si inserì il frutto della mia recensione, la collaborazione con l'adesso produttore - ex Psychic Tv - Hilmar Örn Hilmarsson, per la scrittura della colonna sorona del film omonimo, "Angels of the Universe", una "cosa" di 17 canzoni racchiuse in 41 minuti, e non si tratta certo di punk. Piuttosto, una via di mezzo tra il capolavoro degli ingannevoli esordi e il fosco declino degli sviluppi recenti.
Una sorta di orchestral new post-age simphony, dunque? Uhm... Forse, piuttosto, un'opera - delicata e non ambiziosa - costruita attorno a un'idea: la lievità dell'anima. Attorno a fragili arpeggi di chitarra si stende così il tappeto d'archi e la voce - angelica - del leader Sigur Rós resta relegata dietro le quinte.
Musica - ad ogni modo - perfetta per cullarsi l'anima nei frangenti di solitudine... ma la mia anima domani sarà stanca di bearsi leggiadra, e sarà quando chiederà - per affrontare la sua battaglia quotidiana - qualcos'altro; e dal mio stereo vomiteranno altri 41 minuti, ma di 17 canzoni punk sguaiate e lerce.
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