Emotivamente parlando, mezzo voto in meno di "Liberty": è caratterizzato in parte da un'ammaliante ma eccessiva tristezza, la speranza viene a mancare, cade nel dimenticatoio e non viene più ripresa. A prescindere da queste "imperfezioni", eccellente album, che si inoltra ancora di più nei meandri musicali, raschiando profondamente nell'ambito celestiale fino a far fuoriuscire suoni divini e angelici che penetrano magnificamente nei padiglioni auricolari, per poi giungere vorticando ai timpani e all'orecchio interno.

Copertina che lascia presagire le profonde e oscure atmosfere trascritte musicalmente nel cd: un magico momento eclittico visto presumibilmente da un'astronave, che riesce ad offrire uno spettacolo scientifico sensazionale concentrato in una semplice fotografia. E' d'obbligo ora, dopo aver fatto l'analisi della spazio-copertina, infilare l'album nell'apposito vano del lettore.

Il lungo viaggio verso l'infinito trova la sua partenza grazie a dei suoni molto angelici e vaporizzanti (quasi creano le colonnine di vapore della crosta solare) che d'improvviso lasciano l'onore di esibirsi ad accordi malinconici, puliti, eseguiti quasi artigianalmente, che subiscono varie combinazioni, mai noiose e piacevoli all'udito (quasi solleticano la parte esterna dell'orecchio). Il nome del brano è "I Remember", al quale non può essere conferito titolo più adatto: sembra infatti che con l'aiuto di un solo strumento vengano ricordati i momenti abbastanza tristi e riflessivi (oppure quelli felici, basati su giochi infantili) della vita umana. Nel finale un po'di chitarra di sangue latino non guasta, non fa altro invece che chiudere in bellezza il pezzo.

Voci dal paradiso, provenienti da muse della canzone, danno il via a "Time To Follow". Il pianoforte (in parte presente) corre su una sottile linea magica e purissima. Le emissioni evocali quasi provenienti dall'Eden, soprattutto nel ritornello allietano notevolmente qualsiasi animo, anche il più difficile da addolcire. La miglior medicina contro lo stress, somministrata in pillole musicali. Suoni abbastanza drammatici, portati all'apoteosi da una chitarra acustica orienteggiante e un morbido e solenne violino che si fa sempre più riconoscere, assumendo il ruolo del personaggio secondario, attribuiscono a "Wanja The Wanderer" un tono molto classico e acceso, sostituito poi da flauti arabi che hanno per abbondanti secondi la meglio. Il ritorno all'acustica (stavolta più calma e minuziosa) è di diritto, seguita dal violino. I due strumenti non fanno altro che ribadire il concetto di profonda ricerca dell'inconscio, la quale è abbondantemente soddisfatta.

Un acido violino che lascia il sapore in bocca fa da sfondo a delle parole fortemente straniere pronunciate da delle donne di una certa età. Il tutto costituisce il primo minuto e mezzo circa di "Ignatia", la quale subito dopo avverte un cambiamento radicale: vengono incredibilmente descritti ritmi elettronici senzazionalmente accompagnati dal pianoforte che ne sa una più del diavolo e sa essere sempre moderno. Ma attenzione: c'è il ritorno alle sviolinate acide e alle canzoni straniere, stavolta però contornate dall'elettronica. Tutti questi cambiamenti improvvisi ma piacevoli fanno sì che la traccia sia un vero e proprio collage di generi musicali. Tamburi corposi danno la spinta a "While The World Slowly Returns", caratterizzata principalmente dai sapienti spazzolamenti di chitarra elettrica. Ciò le farà avere uno stampo altamente da piano-bar, molto romantico, perfetto per una cena a lume di candela. La guitar ha i suoi inarcamenti e le sue osannazioni, i suoi picchi e i suoi momenti calmi. La virtuosità di certo non scarseggia, anzi è protagonista assoluta nell' eccellente composizione, la più allegra forse di "Infinity". A metà pezzo il pianoforte fa la sua eccelsa figura, picchiettato sapientemente, tanto da fargli possedere un tono cristallino e pacato.

La notte sottoforma di suono (ritmi sommessi, gelidi, astrali) trova la sua trasposizione con "Life Is Beautiful", di carattere abbastanza inquietante e consistentemente calmo, privo di interferenze sonore. Il trasporto è d'obbligo, avviene un vero e proprio viaggio nei posti più incontaminati e floridi dello spazio, isolati e velati di mistero. E' incredibile l'apertura dell'inconscio che si ottiene ascoltando questa particolare traccia. Un inquieto pianoforte, picchiettante quasi ad imitare un rumore di passi costituisce quasi una lotta per la sopravvivenza, accompagnato da aguzze sviolinate geometriche, che non fanno altro che conferire a "Timestairs" un tono ansioso e preoccupante, ma incredibilmente (i miracoli del New Age) affascinate e un pizzico speranzoso, tra le grandi masse pessimistiche che prevalgono quasi dittatorialmente. Pure sorgenti convertite musicalmente danno il soffio della vita a "Part IV: Black Garden View", accompagnate da risonanze cristalline e scintillanti e da un pianoforte seminascosto, intrappolato dai magici suoni. Lo strumento è fantascientifico come sempre e riesce continuamente ad emozionare, aumentando e diminuendo in progressione. Vengono raggiunti tonalità che trapassano la speranza, vanno drasticamente oltre, infrangendo la regola emozionale (ciò non dispiace affatto).

Schitarrate acustiche geometriche, portate a braccetto dall'elettronica, fanno di "Horizon" una composizione altamente esotica, accompagnata ulteriormente dall'esoterico flauto di pan, come sempre dotato di un suono grezzo. E' proprio questo fattore che lo rende unico nel suo genere. Non manca una perfetta voce orientale affetta da ondulazioni vocali. Come privarsi poi dei tamburi e dei violini? Questi due strumenti allietano notevolmente l'atmosfera e ci lasciano liberamente, a riflesso condizionato, immaginare un paesaggio rigoglioso, quasi una foresta pluviale popolata da affascinanti animali dai mille colori.

Meraviglia delle meraviglie, nel preludio di "Groove Zone" udiamo uno sfregamento di piatti, subito seguito da suoni puri e naturali e dal protagonista del brano, ovvero il sassofono, che svolgerà eccellentemente il suo arduo compito, ovvero spruzzare di romanticità il tutto, un po'come "Peace Like A River", vi ricordate? (Vedi New Age Infinity). L'arnese musicale viene suonato perfettamente e riesce a pervadere l'animo, con le sue melodie dolci e dalla lacrima abbastanza facile, se siete dei sentimentaloni, abbonati all'adulazione. Il sax è davvero virtuoso, perfetto, mai sbavante, sereno, puro, acuto in certi punti-chiave. Cristalli musicanti e pianoforte costituiscono un connubio perfetto per "O Canto De Sereia", accompagnato dalla diligente chitarra acustica e, evento che avviene raramente nel mondo New Age, da una vera e propria canzone, chiaramente brasiliana (o portoghese, fate voi), abbastanza allegra e movimentata, efficacemente ballabile. Si viene a creare una vera e propria festa all'insegna della danza e del divertimento.

Ancora voci paradisali solenni aprono un pezzo, in questo caso "Moonrise", farcito notevolmente da fasci leggeri e roteanti di musica elettronica e pura sperimentazione profonda e privata del conscio, agente nei punti più inoltrati dell'encefalo, sortendo così un magico effetto rilassante e curativo, quasi una scacciapensieri. Rifacendoci al titolo, la luna è davvero l'assoluta protagonista, e la traccia completa con perfezione quello che volevano trasmettere alcune tracks di "Liberty". Un dolce suono flautico fa da capo a "Pilgrimage", la quale procede per tutto il tempo con piacevoli canti quasi ecclesiastici, forse abbastanza pesantucci per coloro che campano di Techno e House. Molto solenne e purificante, a tratti accompagnata dalle cristallinità dello strumento fondamentale: il pianoforte. Quest' ultimo verrà usato flebilmente per fabbricare l'inizio di "First Impressions", brano prettamente violinistico, suscitante una terribile commozione che riesce a creare un senso di freddezza fisica e nell'animo, abbastanza scomodo e fastidioso ma leggermente piacevole. Non per niente, viene eseguito in parte da uno dei maggiori violinisti al mondo: Yo-Yo-Ma. Nelle inflessioni più acute è difficile rimanere impassibili e non provare alcuno stato emozionale, se non impossibile.

Ultima traccia, "The Alchemist", un tributo al pianoforte, il quale suona risentito e quasi futuristico, riflettendo sulla vita che potremmo avere in futuro, prendendo le debite misure. Lo strumento trova le sue esaltazioni, le quali un po' riportano alla realtà e ci privano momentaneamente del mondo "Infinity", un mondo così affascinate, così triste ma a tratti così speranzoso, ma soprattutto così riflessivo.

Con "The Alchemist" siamo giunti al termine del disco. D'ora in poi resterà un ricordo che probabilmente porteremo per sempre con noi, tante sono le emozioni che ci ha riservato.

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