Forse il disco che più di tutti ha influenzato il rock negli ultimi 25 anni. E non è uno scherzo. Se riuscirete a fare un piccolo sacrificio per averlo potrete tranquillamente gettare nello sciacquone la metà dei dischi noise, grunge o alternative che avete a casa (o almeno venderli che è più conveniente). La compilation è formata da sedici brani prodotti da Brian Eno e composti da quattro band della grande mela che avevano come comune denominatore solamente la voglia di fare a pezzi le regole non scritte del rock; le loro armi erano: crudezza, sperimentazione e paranoia.
I primi quattro brani sono a firma James Chance & the Contortions, forse i migliori del lotto, che con “Dish It Out” infilano già il capolavoro: ritmo veloce sostenuto da un basso “gommoso”, intrusione rumorista del sassofono e poi entrata in scena dell’inaudita voce di James Chance. In tanti fino ad allora avevano cantato rock con rabbia, ma nessuno con questa efferatezza e questa lucida follia; il canto feroce di Chance influenzerà non poco la musica alternativa anni '80 e '90. Altrettanto splendida e trascinante è “Flip Your Face” che presenta un basso che ricorda forse un po’ i Nirvana di tredici anni dopo, solo che in questo caso è messo a servizio di un brano ben più radicale di quelli strofa-ritornello-strofa del gruppo di Seattle. “Jaded” è invece è un brano lento e malato sferzato dalle “due voci” di Chance: la propria e quella del suo noise-sax.
I Contortions si congedano con un’ottima e stravolta cover di James Brown e passano il testimone ai Teenage Jesus & the Jerks di Lydia Lunch che invece di cantare sembra piangere lamentosamente. I loro brani sono cantilene che ad un certo punto sembrano sussultare, accelerare e poi, invece che esplodere, si quietano e tornano al lamento agonizzante di prima. Il terzetto ci regala anche la scarica adrenalinica di “Red Alert”, un martellamento strumentale adrenalinico anche nella durata (poco più di trenta secondi).
I Mars capolavoreggiano con l’ultranoise di “Helen Fordsdale”, dopo averla ascoltata i Sonic Youth vi sembreranno tutt’a un tratto meno geniali di quello che pensavate. Gli altri tre brani dei Mars sono improvvisazioni noise con cantati che si fanno grida lontane e inintelligibili. I D.N.A. chiudono alla grande con brani che a differenza dei loro compagni di viaggio presentano anche ruvide e stranianti sperimentazioni elettroniche ad opera Robin Crutchfield, accompagnate dal martellamento della giapponese Ikue Mori e la tagliente (e ovviamente noise) chitarra di Arto Lindsay. Tutto questo è stato fatto nell’anno 1978. Cinque secco.
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