Correva l'anno 1990, io frequentavo l'ultima classe del liceo scientifico, la maturità incombeva e l'istituto organizzò una gita a Parigi; così che, dopo le strazianti visite al Louvre e al D'Orsay (benedetta sia l'ignoranza) e dopo essermi addormentato al cinema durante la proiezione in lingua originale con sottotitoli in francese di «Crimini E Misfatti» di Woody Allen, il primo momento libero lo dedicai ad un devoto pellegrinaggio in rue Pierre Sarrazin, sede della storica casa discografica New Rose, la quale, oltre ad annoverare tra le sue fila autentici mostri sacri della storia del rock (Bo Diddley, Saints, Cramps, Johnny Thunders, vi basta?), offrì più di un'opportunità anche a tanti oscuri eroi del rock'n'roll anni Ottanta (tra i miei preferiti, Primevals e That Petrol Emotion). E soprattutto, nel 1987, licenziò quella che ritengo ancora oggi una delle più belle compilation mai pubblicate, «Play New Rose For Me», centesimo titolo di un glorioso catalogo.
Splendida sin dalla confezione - doppio vinile impacchettato in una copertina cartonata che riproduce la busta di un biglietto d'auguri - la raccolta allinea 26 episodi, o meglio 26 tributi reciproci tra gli artisti dell'etichetta.
Tanto per dire, ci sono i Divine Horsemen ed i Mad Daddys alle prese con i Cramps; Mudboy & The Neutrons, Giant Sand e Fortune Tellers che rivisitano Bo Diddley; Reptiles At Dawn e Slickee Boys che non si tirano indietro di fronte ad autentici pezzi di storia del punk quali «Chinese Rocks» e «Misunderstood»; rendendo il tutto con una passione ed un coinvolgimento difficili da replicare, per un risultato complessivo che definire brillante è a dir poco riduttivo.
E soprattutto ci sono quattro momenti riservati ai cuori puri, forti, duri ed alle anime pazze.
Il primo è per i cuori puri. Il cuore puro è quello di Alex Chilton che interpreta da perfetto one-man-band «With A Girl Like You» dei Troggs. Io, sinceramente, non conosco parole adeguate per un simile genio, uno che con i Box Tops fu sul punto di conquistare il mondo, con i Big Star scrisse un pugno di canzoni che avrebbero fatto invidia ai Beatles così come ai Velvet Underground, ed è morto in miseria pochi mesi or sono e dimenticato da tutti. Come doveroso - seppur minimo - riconoscimento vi indirizzo all'ascolto di «With A Girl Like You».
Il secondo è per i cuori forti. Il cuore forte è quello di Howe Gelb che, alla testa dei Giant Sand (all'epoca, forse, il miglior gruppo rock in circolazione insieme ai Died Pretty) prende di petto niente meno che «Who Do You Love» e ne dà una versione che vale (assolutamente, sì) quella dei Quicksilver Messenger Service in «Happy Trails», pur differenziandosene notevolmente. Tanto era dilatata quella, fino ad occupare un'intera facciata di vinile, quanto è compressa, indurita ed inacidita questa: la sensazione è che, mentre Howe Gelb declama il testo, tutti siano impegnati a suonare «John Coltrane Stereo Blues» o qualcosa del genere. Solo un gruppo in stato di grazia e pienamente consapevole del proprio talento può permettersi di violare in tal modo uno dei massimi classici del rock di ogni tempo; e mi piace pensare che Bo Diddley si sia premurato di complimentarsi personalmente con Gelb e compagni (nell'occasione, tra di loro, anche il compianto Rainer dei Rainer And Das Combo).
Il terzo è per i cuori duri. Il cuore duro è quello di Jello Biafra che fulmina in un colpo solo i Bobby Fuller Four ed i Clash, incendiando «I Fought The Law» al fuoco di un punk tendenzialmene hardcore, riadattando il testo (storica la traslazione da «I fought the law and the law won» in «I fought the law and I won») e trasformando l'originario lamento di un carcerato per la propria donna in un feroce sberleffo contro il sistema giudiziario statunitense, distintosi per aver mandato assolto un poliziotto dall'accusa di duplice omicidio sulla base della teoria difensiva per cui, avendo ingurgitato junk-food ad elevato contenuto di zuccheri, ciò gli aveva causato un disturbo psichico transitorio.
Il quarto, ed ultimo, è per le anime pazze. L'anima pazza è quella hippie di Sky Saxon che incontra quella, devastata da elettroshock e torazina, di Roky Ericson, lasciando libera di volare verso luoghi sconosciuti ai miseri mortali la celeberrima «Don't Slander Me»: più che un omaggio, una vera e propria dichiarazione d'amore. Sarebbe davvero bello se ciò avesse aiutato a scacciare i demoni dallo spirito del vecchio Roky, se si crede a quanto affermato in occasione della sua recente collaborazione con gli Okkervill River, per cui il vero amore allontana tutto il male.
Avrete, dunque, capito come sia un disco profondamente emozionale, «Play New Rose For Me», di quelli che al giorno d'oggi non si fanno più; anche se poi è la riposta speranza di imbattermi in qualcosa di simile che ancora mi spinge a nutrirmi di musica.
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