Ed ecco il resoconto, artista per artista, di ciò che mi è parso delle canzoni festivaliere:  

1) Patty Pravo (Il vento e le rose): 5. L'inizio fa quasi ricordare E dimmi che non vuoi morire. Le suggestioni ci sarebbero, con la buona strofa ed l'arrangiamento orditi per la Nicoletta nazionale. Ma la nostra EX-divina colleziona più calanti di una novizia a lezione di teoria e solfeggio. Forse è giunto il momento di farsi da parte e di godersi una pensione ricca di glorie e di ricordi.  

2) Modà Vs Emma Marrone (Arriverà): 3. Basta!!!! Perché questi giovani devono sempre comportarsi da eterni lagnoni e stressarci con questi urlacci in minore riguardanti l'ennesima storia strappalacrime dal finale aperto? Auguro a loro di imporsi in questa edizione, e di emulare il successo pausiniano. Ma si scordino mai di avere un mio giudizio clemente. Assurdi!  

3) Luca Madonia Vs. Franco Battiato (L'alieno): 6 e 1/2. La vita, si sa, è fatta di leader e di gregari. Pertanto, l'alieno non è il celebre catanese che guadagna la scena a canzone quasi finita, bensì l'onesto Madonia. Questo operaio della musica ordisce una canzone alla Max Gazze' e, con dignità da turnista (ma nulla più), adempie al suo compitino chitarra e voce. Arriva Franco, si siede al piano, apre bocca e la canzone decolla. Forse era meglio suddividersi strofe e ritornelli in ben altra maniera. Nel complesso, pezzo più che accettabile.  

4) Giusy Ferreri (Il mare immenso): 5 e 1/2. Miss Non ti scordar mai di me si fa notare più per il vestitino da merluzzo squaiato che per il brano. Poppetto onesto con velleità da classifica. Il ritornello, però, non sana una strofa che non apre e che mette in evidenza tutti i limiti della Ferreri sulle note basse. Al prossimo giro, magari...  

5) La Crus (Io confesso): 7. Anch'io confesso: dopo aver letto il testo, pensavo che si trattasse di uno scherzo. Ma come: una reunion lampo, da parte di uno dei più amati gruppi del sottobosco musicale italiano, e per che cosa? Per una trita storia di corna, e per il solito uomo che, prima la fa, e poi pretende la seconda possibilità. Eppure, una volta attaccato con l'intro, ecco che la magia si crea. Bindi, Tenco, Endrigo: chi più ne ha, più ne metta. Ritornello per nulla scontato ed orchestrazione da Oscar. Sicuri di non voler rimanere insieme?  

6) Anna Oxa (La mia anima d'uomo): 5-. Per la serie: aridaje! Non era bastata la figuraccia maturata col talking-canzone ordito da Panella nel disastroso Sanremo targato Panariello. La Oxa ritorna con un altro esperimento (e sia!), con un mood più giovane (vabbeh!) e con un trucco da teatro giapponese (mah!). Tutto ciò non supplisce al solito problema della difficoltà di apprezzare al primo ascolto la sua voce [talvolta sembra di ascoltare un aria lirica mal scandita]. E gli acuti finali, peraltro non perfetti, non servono a far uscire dalle paludi del dubbio un testo che - chissà - cantato da una con la voce simile a quella di Skin avrebbe potuto ben figurare. Pausa di riflessione?  

7) Tricarico (Tre colori): 6+. Sarò figlio unico, ma posso dire che questa la cantava meglio...Mesolella. Divertissement a parte, il riccioluto milanese ha il merito di comporre una filastrocca che sciocca non è. In bilico tra il dissacrante e il patriottico, tra il sarcastico e il didattico, tra l'allusivo e il pacifistico, questo brano A-B si regge su una melodica semplice e sapida. Buono l'arrangiamento e discreto il testo falso-ingenuo. E allora: perché mutuare come performer il Forrest Gump del pop italiano, il quale non imbrocca una nota nemmeno sotto tortura? Meditate, discografici: meditate. Forse il treno della maestra meretrice è passato per sempre...  

 8) Nathalie (Vivo sospesa): 5+. E rischia di rimanerci a vita, sospesa. Come interprete la ragazza andrebbe guidata, e valorizzata da brani scritti da chi conosce la sacra arte della canzonetta. Infatti, se l'X-Factorina se la cava e vince la gara dell'intonazione di serata, perde alla grande quella della traccia più bella. Scialbo l'attacco, indolente la progressione armonica, Nathalie vorrebbe librarsi in volo senza nemmeno cucirsi un minimo di ali posticce. Morale della favola: salvate questa ragazza: forse merita un futuro diverso! Di certo - per ora - non da autrice di canzoni.  

9) Al Bano (Amanda è libera): 5. Emozionato come alla prima esperienza live, il venerando pugliese sfodera la consueta grinta solo dopo un tardivo cambio di tonalità. Non è Omero, e questa benedetta lucciola nigeriana, violentemente scannata, verrà dimenticata come altre martiri del nostro tempo che - sfortuna loro - non hanno trovato un sapiente aedo pronto a riscattarle. Fill arabi a parte, la solita albanata in minore. Meglio che sia passata in tarda serata...  

10) Luca Barbarossa Vs. Raquel de Rosario (Fino in fondo):  4 e 1/2. Ed eccolo il tentato golpe del tormentino alla Minghi-Canino. Ma i 'brutti' trottolini amorosi, pur ostentanto un buon feeling sul palco, si ritrovano a mala parata con gli orecchi ormai smaliziati di noi, spettatori d'un Italia Unita dal canorissimo afflato. All'estero potrà attecchire; qui da noi resta solo una velata amarezza per aver perso un performer che, in bilico tra qualità e richiami commerciali, aveva ordito una delle carriere più interessanti e longeve del cantautorato Made in Italy. E di Mrs Alonso? Bella voce e bel personalino. Scarso carisma, però.  

 11) Roberto Vecchioni (Chiamami ancora amore): 7 e 1/2. Giù il cappello per il professore che nasconde il pugno ma non la carica. E ce ne mette nel microfono, consapevole di aver scritto un bell'inno all'umanità (e qualche volta fa anche piacere ricordarsi che non esiste solo l'Homo homini lupus). Canzone di pancia, passibile di qualche comprensibile eco retorica e dai forti rimandi gucciniani. Ma il ritornello invoca ed affascina. L'arrangiamento sostiene e...in fondo chissenefrega se ci stanno imprecisioni dovute alla foga. Domanda: perché le cose più coraggiose sul palco dell'Ariston non le fanno i giovani, bensì i decani?  

12) Anna Tatangelo (Bastardo): 4 e 1/2. Che dire? A quanto pare gli uomini bastardi non hanno fortuna a Sanremo. Chiedere a Marcella Bella per ulteriori conferme. Lady Gigi si trasforma per una sera nell'improbabile ibrido che mescola linee melodiche grignanesce ed abiti sibillini di un mal fornito Lesbo-market. Risultato? Quattro giri triti e ritriti, testo da adolescente alla prima delusione che vuole farsi giustizia e l'ennesimo tentativo della 'Ragazza di periferia' di trovare l'appeal di un pubblico più giovane. Ennesimo buco nell'acqua. Ci sarà un motivo... 

13) Max Pezzali (Il mio secondo tempo): 6-. Auguriamo al celeberrimo 883 che il suo secondo tempo non sia come l'orripilante look da taglialegna ottuagenario delle valli dolomitiche indossato per la prima sanremese. Parliamo di musica: Max si rende conto degli anni che passano. Lascia nel cassetto il torpiloquio e la strafottenza dei primi album e si dedica ad una disamina in note che vuol essere auspicio e speranza. Il matrimonio tra musica e parole, in questo frangente, riesce a metà. Si salva il ritornello e la voce che - sebbene in qualche caso nasale come non mai - ha passato la revisione degli anta. Attendiamo prossime canzoni.  

14) Davide Van de Sfroos (Yanez): 7+. D'accordo. Il dialetto a Sanremo non dovrebbe trovare una cittadinanza senza sottotitoli. E mettiamo nel conto anche questa voglia di Modena City Ramblers che trapela in ogni dove. Ma almeno il buon Cantastorie laghee ci mette del suo per smuovere l'assonnato pubblico della platea. E lo fa con un testo intelligente e da cantastorie di razza [ce ne dovrebbero essere di più, nella kermesse] quale lui è e sarà. Salgari ringrazia, e con lui anche tutti coloro che - pur non avendo capito un acca di quanto gorgheggiato - hanno provato timidamente a battere le mani. Esperienza da ripetere.  

 

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