Questo giro, da furbacchione, prendo sette piccioni con una fava.

La storia dei 10 pollici della Cold Blue Records risale a più di trent'anni fa quando disperato vagabondavo alla ricerca di questi vinili, macché... neanche l' ombra. Munito di indirizzi P.O.BOX californiani, imbucavo le mie lettere cartacee sperando nel ritorno affermativo del messaggio "in the bottle": disponibile. Niente da fare... Avevo anche i numeri di telefono ma nell' eventualità di una telefonata oltreoceano bisognava prevedere un indebitamento permanente. Non c' era internet, non c' erano i cellulari, c' erano ancora i negozi di dischi dove trovavi un' isola. Ho avuto tutti i dischi della scena trance californiana, non so neanche io come ho fatto a procurarmeli, alcuni credo che li ho costruiti psichicamente. Ma questi no, neanche uno, e soffrivo leggendo la presentazione sul libretto in italiano della fondamentale compilation Viva Los Angeles del 1986 edita da un etichetta romana, la Viva Records. Se ne parlava soltanto, nel disco non c'erano pezzi, e se ne parlava come cose al limite del reportage acustico ma di un impatto concreto. E questo mi solleticava alquanto vista la mia irrimediabile idiosincrasia alla melodia e a costruzioni "razionali".

Nel 2003 li hanno ristampati tutti e sette in un cofanetto di tre cd... La vecchia etichetta di Chas Smith, risorta fenice dopo 15 anni, riesumava l' improbabile. Subitaneo il mio genuflesso ringraziamento al fato.

I lavori rispecchiano un amore per la musica che manifesta lampi di purezza commovente. La dedizione ad una sperimentazione mai fine a se stessa ci confortano con la loro progressione. E non sono giochetti vacanzieri, batte un' anima per cose che non si vedono ma esistono. Cominciamo...

1) Peter Garland "Matachin Dances" (1980-81)
Un folk ignoto carico di Storia che passa per un violino estraniante ci si presenta innanzi con Peter Garland. Le maracas, simili al sonaglio del crotalo, danno quel tocco ipnotico del passato. Le "danze" si aprono malinconiche ma evocative, numerate dall' uno al sei, intimo incontro che elargisce una freschezza distante.

2) Michael Jon Fink in "Vocalise" (1977-79) ci serve una deriva al piano con ombre del nuovo mondo. Sembra che la mano si addormenti sullo strumento e per forza d'inerzia rimbalzi lievemente. Tasti sfiorati, evanescenza, onirico recupero di arie di altri luoghi, un velo d' intimità ti culla... Un violoncello appare e una tristezza lucida pervade l' ambiente. Due pianoforti suonano l' ultima suite sospendendo gli accostamenti. Non c'è fretta, potrebbero continuare all' infinito, vorremmo...

3) Barney Childs nel suo "Clay Music" (1981) attraverso un uso materico degli strumenti a fiato traccia una visualizzazione di una giungla che comprende passato e futuro risultando sospesa su un' aria terrestre iperturbabile e aliena. La suite di 19 minuti, originariamente spalmata sui due lati del vinile, burloneggia facendoti Marameo! ad ogni svolta d' angolo, gigioneggiando a tratti feroce nella sorpresa provocata. Labirintitico...

4) Una composizione per lato per Read Miller in "Mile Zero Hotel" (1981) che estremizza la comunicazione verbale sul primo lato dove tre voci, due di uomo una di donna, si inseguono, si intrecciano, si confondono, confessano monotone le menzogne che vivono apparendo e scomparendo alla ricerca di un centramento che possa sottrarre la sottile angoscia che ci consuma. Le parole si trasformano in uno strumento ipnotico che non ha più a che fare col razionale. Un monologo il secondo pezzo che crea un' atmosfera alienante ma senza paure per l' accettazione del rifiuto all' inganno, non c'è indignazione, non ci sono più sentimenti. Il constatare lo stato delle cose da un altro Universo. Redenzione...

5) In "Santa Fe" (1982) Chas Smith ridisegna il concetto di ambient scrostandolo dall' ascolto rilassato e invitandoci alla squillante compagnia del soffio delle ombre di diligenze nella polvere. Una vena western sfiora le arie, fantasmi di saloon baluginano in canyon trascendentali, le stelle arpeggiano nella fredda notte desertica. Scompariamo di buon grado, felici...

6)"These Things Stop Breathing" (1981) di Rick Cox è anaerobico nel suo incedere a tappeto. Una chitarra preparata non ci illude della normalità indotta, lo straziamento è scarno, non ci si trascina in autocommiserazione. Si espone un plateau di specchi impersonalmente lasciando a noi la scelta di affiancare le nostre insennatezze. L' attrito del clarinetto con l' invisibile evoca spettri lontani, attori di un film d' art brüt. La portata energetica del pezzo "Taken From Real Life" dà l' idea di un' allucinazione lucida dove non abbiamo orpelli a cui appigliarci. Horror Vacui Aenima...

7) Frazioni, frammenti di Sfingi, sussurri di Sirene, pace interiore, racconti lontani. Daniel Lentz incalza progressioni ancestrali nel suo "After Images" (1977-80) proiettandoci in una vacanza per l' anima. Trastulli dal profondo...

La purezza di questi lavori esige un lucido sforzo d' ascolto. Approfittate dell' offerta trascendentale: "Un cd 3 euro, tre cd 10 euro... Sette senza leva'! ... me cojoni.

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