E cosa succede nella testa del recensore… ? A volte parlare di Vasco è diventato, quantomeno, inutile. Tutti hanno le proprie idee, e sono più o meno sempre le solite. Sintetizzando: “è bollito”, “è un genio”, “non è mai stato un genio”, “è insopportabile”, “lo adoro”, “meglio i primi”, “meglio gli ultimi”, e via dicendo…  con giudizi che, quando va bene, sono soltanto cannonate generazionali che non sanno di esserlo o non vogliono ammetterlo.

Sì… perché per guardare un proprio giudizio e rendersi conto che è, o è stato, frutto di un sentimento generazionale e umanissimo, benchè assoluto, quale l’innamoramento adolescenziale, è attività difficile, che comporta le rare doti della modestia e dell’autocritica. Così io proverò a trovare ciò che c’è di buono e di cattivo in un disco che ho amato moltissimo, e che ancora, sentendolo, mi procura un misterioso piacere istintivo, un godimento primordiale, quasi fosse un bel boccalone d’elisir d’eterna giovinezza. Cosa che… ahimè… non è. Importante, come sempre, inquadrare storicamente l’evento. Siamo a metà degli anni ’80. Sul versante “pop” se ne vedevano davvero di tutti i colori: batterie e tastierone elettroniche come se piovesse, new romantic, ragazzone ultratettute con pezzini dance piccoli piccoli, uomini pittati da ballerina da night che ti guardavano cattivo e, a volte, proponevano opere eccellenti (su tutti, ovviamente, Prince).

Sul fronte cantautorale, ovvero l’altro mezzo fronte del Vasco oltre quello “pop”, la situazione era strana. Battisti era meravigliosamente a metà strada tra lo tzunami di critiche di “E già” e quello di complimenti di “Don Giovanni”, Faber aveva appena sfornato, con il bell’aiutino di Pagani, l’inarrivabile “Creuza de mà”, Guccini concepiva il capolavoro della maturità, “Signora Bovary”, e tutti gli altri tiravano a campare, più o meno bene. De Gregori, in particolare, viveva una via di mezzo tra “W L’ Italia” e “Scacchi & Tarocchi”, periodo per alcuni buio, per me ovviamente splendente (ma si era giovani… no… ?). Vasco, dal canto suo, aveva già sfornato, a velocità invidiabile, il primo particolarissimo “Ma Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone”, disco bellissimo e decisamente sottovalutato, e l’ideale trilogia “Albachiara” – “Colpa D’ Alfredo” – “Siamo Solo Noi”, che, messi insieme, fanno indubbiamente la sua opera migliore, e le ancor belle “sanremate” di “Vado Al Massimo” e “Bollicine”, dischi di genialità spuria e scollinante, ma ancora assolutamente validi. A chiudere questo periodo, quello che oserei definire “geniale”, fatto di ironie, sottintesi, jannacciate, scazzi brutali e capacità di inaspettate seriosità, il live “Va Bene Va Bene Così”, opera importante, poiché è un bel concerto innanzitutto e poiché chiude definitivamente (il senno di poi lo prova oltre ogni ragionevole dubbio) la prima meravigliosa pagina vaschiana.

Subito dopo questi dischi ed un po’ di galera, chiusa, vuole la leggenda, con la frase, pronunciata al magistrato di sorveglianza, “signor Giudice, su tutta questa storia ci tirerò una bella riga” (… !!), arriva la prima opera del nuovo Vasco. Anche lui, in copertina, è diverso. È già somigliante a quello che conosceremo da lì in avanti. Stempiato, qualche chilo in più e meno luce goliardica negli occhi. Il disco suona (per me) piacevolmente eighties. Suoni di batteria che c’erano solo allora, tante tastiere, per il vero nessuna del tutto inutile né sovrabbondante, e soprattutto assoli (allora, checchè se ne dica… si osava anche nei dischi “pop”), tanti di chitarra e moltissimi di sassofono. Tutti belli, studiati bene e non figli della solita supponente pentatonica. Le canzoni sono scritte e interpretate in maniera molto diretta. Probabilmente frutto di un periodo d’ispirazione calante e sicuramente approssimativa (basti l’impietoso confronto tra “Una Canzone Per Te” e “Una Nuova Canzone Per Lei”…), dove si preferiva parlare di com’è facile scrivere una canzone, con le parole che vengon fuori come bolle di sapone o di come sarebbe bello tagliarle la gola se non ti restituisce la radio… (e qui, per il vero, un po’ di goliardia c’è… ).

Unica vera perla minimalista dell’album, surreale e modernissima, frutto del genio di getto che evidentemente non era ancora del tutto spento, Toffee, brano malinconico di dialogo recitato, e non cantato, a una “lei” che evidentemente è lì per poco, che sarebbe proprio una brava moglie, e lo si capisce dal fatto che ha già preparato il caffè… Vasco era così, e lo sarebbe stato ancora per pochissimo. Già lo circondavano un po’ di rapaci, un’ infinità inutile e dannosa di coautori e soprattutto troppe attenzioni.

Chissà perché, ma spesso quando le masse entrano dalla porta il genio se ne esce dalla finestra…

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