Qui ci si divide su tutto...
E chi ha mai detto che ci si debba dividere solo sulle cose cosiddette serie...? La soubrette ministra, il solito medioriente, il quarto berlusca, lo scudetto dell'inter, le ragioni della disfatta della sinistra.... E Vasco. Sì: Vasco. Nessuno ormai divide le tifoserie come lui. E' un millantatore, un buono a nulla. E' molto più bravo l'altro Rossi, Fausto. Fa testi di merda, sentite qui (e si riporta il testo integralmente). E i classicissimi sempreverdi è un drogato, un cattivo esempio, un imbroglione.
E intanto i suoi dischi sono ormai quasi gli unici che vendono, e se facesse dieci serate consecutive a san siro farebbe sempre il tutto esaurito. Esce un suo disco nuovo? È un evento a priori e un successo comunque.
E siamo capaci noi di farne un'analisi, quasi un'esegesi (ma no: non la merita!), o lasciamo passare il messaggio ed il fatto così, quasi che "è così che va il mondo" sia una spiegazione buona per tutto?
Partiamo dal titolo. Come sempre accade, il titolo dei dischi di Vasco è quello di uno dei brani di punta dell'album. A volte (come oggi) uno dei più belli, spesso (Stupido hotel, Buoni o cattivi) no. Oggi a dare il titolo (brutto come titolo ma a mio avviso non come canzone) è "Il mondo che vorrei", una delle due ballate del disco, entrambe buone, nostalgiche, piacevolmente da vecchi, rispecchianti il Vasco che preferiremmo e che vorremmo sempre. L'altra (migliore rispetto alla prima) è "Adesso che sono qui", autobiografia da nostalgia di Topo Gigio. Forse più comprensibile per chi ha (magari abbondantemente) superato i trenta e vive meno poesia di quando il proprio portafoglio era vuoto, mentre la testa era molto, molto più piena... Vasco, con questi due brani, piaccia o non piaccia parrebbe volersi arruffianare il "vecchio" pubblico, quello ultratrentenne, che compra più che scaricare, che va al concerto perché comunque è tradizione e divertirsi non è peccato, e che, in parole povere, al rocker di Zocca non chiede altro che essere una buona caricatura di se stesso, professionale e divertente.
Le perplessità maggiori, però, vengono dagli altri brani (comparsata di Slash compresa): ritmiche simili, iper-produzione patinata malgrado abbondante uso di overdrive vari, ottime interpretazioni strumentali, grande livello professionale, totale o quasi disimpegno nei testi nonché aria di "già sentito" in quasi tutte le musiche. D'altra parte gli autori sono sempre gli stessi, e dal primo album son passati trent'anni giusti. E, come diceva qualcuno, le corde della chitarra son sempre sei, e le note sette.
Sicuramente c'è chi sta pensando: "e allora perche' non si ritira?". Perché la Fiat non ha chiuso dopo aver stravenduto la Uno, e la Barilla non ha gettato la spugna dopo il primo maccherone.
E Vasco, ormai, è null'altro che un'industria. Un'industria che vende tantissimo, produce profitti stellari e butta sul mercato prodotti di massa (detto sia in senso buono che non) di buona fattura. Accattivanti. Paraculi. Benissimo confezionati.
In soldoni difende il marchio. E fa bene, sia dal punto di vista suo e dei suoi, sia da quello di chi paga per divertirsi, come a Las Vegas, come a Gardaland.
Il cantautorato, però, salvo sporadici quanto sempre più rari lampi, abita altrove.
Ma di fondo a chi importa ancora qualcosa del cantautorato...? E chi ha mai detto, oltre ogni ragionevole dubbio, che Vasco sia o sia stato un cantautore? Ma cosa sono, poi, i cantautori?
Una pagina non basta.
Vasco stravende. Alcuni s'incazzano. Altri s'accodano. I perplessi, superati i conflitti interiori, come tutti e come sempre, alla fine s'incazzano o s'accodano, o tutt'e due.
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