Siamo nella seconda metà degli anni '70, nei cosiddetti "anni di piombo", in un Italia in fibrillazione per le contestazioni studentesche e per il movimento del '77 e in particolare per i fatti del marzo di quell'anno, a Bologna, in cui un giovane studente rimase tragicamente ucciso da un proiettile durante alcuni scontri tra studenti. Si diffondono le radio libere e si inizia a guardare con curiosità alle culture che tanto stavano spopolando negli stati anglofoni: la psichedelia magica del concerto del '69 di Woodstock e la furia distruttiva e anarchica del Punk.
In questo ambiente, ancor di più in quell'emilia romagna densa di disordini, che si forma il giovane Vasco Rossi che proprio nel '75 fonda "Punta Radio", una delle tante radio libere che si stavano diffondendo nel territorio. Il Vasco 23enne suona la chitarra e strimpella le canzoni della tradizione melodica italiana e dei grandi cantautori, in particolar modo De Gregori e Battisti e anche De Andrè e Paolo Conte, ma è attratto dalla musica dei gruppi rock come Rolling Stones, Who e Pink Floyd.
L'esordio musicale risale al 1978: "...Ma cosa vuoi che sia una canzone...", questo il nome del primo LP di Vasco, che viene interamente arrangiato dall'amico Gaetano Curreri, leader degli Stadio, che suona anche le tastiere.
L'album, musicalmente parlando, risente tanto della tradizione cantautorale italiana e presenta lo spirito tipico del rock anni '70 made in Italy, per intenderci quello del Rock Progressivo delle Orme, degli Area, del Banco del Mutuo Soccorso e così via. Riguardo i testi, Vasco affronta in maniera ingenua e spensierata l'universo femminile, l'amore e i problemi sociali. Del resto ma che che cosa vuoi che sia una canzone?
E' proprio questo il punto i musicisti cercano una maturità musicale che spesso, ma non sempre, consegue nel ribaltamento dei presupposti iniziali proprio quelli che hanno fatto intraprendere la carriera a un artista; quella genuinità delle prime canzoni, la voglia di comunicare un'emozione, la rabbia e il vigore di chi vorrebbe vivere in un mondo diverso e di chi vuole farsi portatore di un ideale. Quando poi, ti ritrovi a gestire un pubblico di non poca rilevanza, il problema si fa molto articolato è scegliere le soluzioni più facili è comprensibile, ma a mio parere non giustificabile.
Ritornando al disco, questo si apre con "La nostra relazione", canzone di una storia molto prossima all'epilogo in cui il cantante decide di mettere la parola fine a questa (lasciamo stare dai, non facciamo un letto ormai disfatto), a metà tra un Battisti malinconico e la Pfm. "...e poi mi parli di una vita insieme", seconda traccia, si apre con un basso ossessivo che fà da apripista al cantato di Vasco, che in questa canzone sembra strizzar l'occhio a Rino Gaetano (mi dici che tuo padre vuole sapere che cosa intendo fare, ma che cosa ne sa lui di fare, se tutta la vita non ha fatto altro che stare a guardare?), che incita una donna a reagire perchè c'è un mondo, il mondo di Vasco, che è diverso da quello della "routine", della famiglia, del lavoro; la canzone tuttavia si conclude con la rassegnazione del rocker di Zocca (la colpa non è tua, la verità è che al mondo tu servi così).
"Silvia" e Tu che dormivi piano" sono delle ballate melenze che rivelano l'animo più romantico del giovane, mentre, "Jenny è pazza" è il pugno allo stomaco dell'LP, malinconica e triste, affronta il tema della diversità che spesso viene accentuata dall'esorcizzazione di chi si crede di essere "normale" (Jenny sta bene, è lontana, la curano... ...Jenny è pazza, c'è chi dice anche questo). Poi arriva il capolavoro di questo "...Ma cosa vuoi che sia una canzone...", l'ironica "Ambarabaccicciccoccò" in cui Vasco prende in giro se stesso (i giovani di oggi [...] cantano Dio salvi la regina fascista e borghese - con evidente riferimento al punk inglese dei Sex Pistols) con l'obiettivo, però di criticare le convinzioni inamovibili del periodo (perchè il partito ti può aiutare [...], perchè il partito è un'istituzione). Ultima canzone del disco, "Ed il tempo crea eroi", un country gucciniano, che riprende le tematiche di "...e poi mi parli di una vita insieme", cercando di dare una scossa al popolo insofferente (ma restate pure calmi, lì, seduti al bar, con il vostro dio e i vostri piccoli guai).
Finite le canzoni il cantautore/rocker modenese ci saluta con un brano strumentale intitolato, appunto, "Ciao". E detto questo vi saluto pure io.
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