1981: Vasco Rossi è sulla bocca di tutti, è fresco da "Colpa d'Alfredo", album che ha riscosso un modesto successo, sebbene lontano dall'essere considerato il personaggio che oggi si è cucito addosso. Vasco all'epoca era considerato uno scoppiato, uno di quei giovani ribelli che sarebbero morti presto, oggi probabilmente l'unica vera "icona" rock del panorama italiano ad aver attraversato i decenni della musica, arrivando a riempire gli stadi attirando praticamente tutti, da chi lo ama alla follia e chi lo odia per simpatia, rimanendo sempre se stesso seppur zoppicando in alcuni lavori futuri. Nel bene o nel male comunque sulla sua posizione resta un merito innegabile.
"Siamo solo noi" è il disco che più dei precedenti rappresenta la fase rock di Vasco: un album di sole 8 tracce, di cui non ne skippi manco una per quanto il ritmo sia veloce e studiato. Qui dentro abbiamo di tutto: il Vasco incazzato, romantico, malato, drogato e perfino festaiolo; della prima parte della sua carriera resta il disco che ha messo in chiaro la sua intenzione: la trasgressione di un ragazzo ventinovenne proveniente da una provincia di quattromila abitanti, con la rabbia tra i denti e la sensibilità di un eterno e bravo ragazzo. Il disco presenta un suono rock corposo e fresco, seppur in un'ottica prettamente italiana, cosa da tenere in considerazione. Vasco è un artista autentico, la sua musica è comunicazione, dai linguaggi nonsense a delle vere e proprie poesie d'amore, e "Siamo solo noi" ha le carte in regola per essere uno dei suoi lavori migliori, meno "sperimentale" di "Non siamo mica gli americani", ma a mio avviso qualitativamente migliore.
Il disco si apre con quello che è uno degli anthem per eccellenza del rock italiano: "Siamo solo noi", appunto. Questo brano è leggendario, l'inno di una generazione di "sconvolti senza santi ne eroi". Si è detto di tutto di questa canzone, ma il fatto che ancora oggi unisca milioni di persone nei concerti di tutta Italia non è un fattore da poco anzi. Un Vasco quasi in hangover nelle strofe, fino all'esplosione del ritornello, con un finale assolutamente da stadio, seguito da un solo selvaggio di Maurizio Solieri. Segue "Ieri ho sgozzato mio figlio", uno degli episodi più controversi del disco, con quell'ironia geniale nel suo linguaggio grottesco, vicino a "Fegato, fegato spappolato" o "Alibi" per intenderci. Un brano rock in chiave hard & heavy in bilico con le sonorità di quegli anni: scorretto e assolutamente gustoso. Segue "Che ironia", un brano più leggero e scanzonato, seppur il titolo stesso sia un rimando alla dipendenza dall'eroina (che ironia....questa malattia...). Una traccia divertente che da un giusto respiro ai pezzi precedenti, seppur quel senso di amarezza sia sempre presente. "Voglio andare al mare" è un reggae Police-iano con un testo "ignorante", in cui Vasco mette in chiaro la sua voglia di sperimentare con le donne sulla spiaggia. Il ritornello vuoto si apre in un rock energetico e nevrotico, quasi punk per certi versi.
E siamo arrivati ad una delle canzoni più amate del Blasco: "Brava", in cui il cantante si scaglia contro una ragazza (si presuppone una sua ex) sfogandosi di averlo trattato da burattino con "la sua logica da calze nere". Il brano musicalmente è una bomba, un rock grintoso ispirato (per così dire) a "Baba O'Riley" dei The Who. Uno degli episodi in cui Vasco vocalmente ha saputo dare il meglio di sé, e nel complesso funziona benissimo, giustamente diventato cult nella sua carriera. Proseguiamo con "Dimentichiamoci questa città", l'episodio più rock del disco, in cui stavolta la tematica principale ruota attorno alla voglia di sesso rivolto verso una ragazza in particolare. Non mancano di nuovo citazioni, a partire dal riff da "Vicious" di Lou all'immancabile plagio di "Living after midnight" dei Judas Priest. Questione che personalmente reputo inutile da parafrasare, visto che Vasco non fa altro che "rubare" quei riff e farseli suoni, rimanendo comunque fedele al proprio stile, sia nel canto che nella scrittura. Il brano più "forte" del disco dal punto di vista musicale, un vero peccato sia finito quasi nel dimenticatoio, seppur i fan di Vasco occasionalmente lo ripropongano ai concerti. Dopo tanta rabbia e sana ignoranza siamo arrivati alla ballata del disco, a mio avviso una delle più belle canzoni di Vasco Rossi: "Incredibile romantica", dolce e calorosa, un testo semplice che sembri fare il filo a Battisti/Mogol (Vasco ha esplicitamente detto di essere grande fan dell'artista di Poggio Bustone) che nel ritornello trova un momento di esplosione, tra cori di chitarre che sembrano usciti da un disco dei Queen (personalmente mi ha fatto ripensare a "Save me") e una batteria possente a dettare legge, fino al solo finale di Salieri al solito in ottima forma. Una perla. Chiude il brano malato per eccellenza del disco, il blues acido di "Valium", una discesa nella mente drogata di Vasco, una canzone che ha il passo di un elefante come vuole essere, sebbene negli anni sia stata riproposta in versioni a mio avviso che le hanno levato quel velo di follia che la caratterizzava. Una bella chiusura per un disco che rimane coerente dall'inizio alla fine senza mai cadute di tono.
"Siamo solo noi" é uno dei dischi più fondamentali di Vasco Rossi; di facile ascolto seppur molto più grezzo rispetto a tanti lavori futuri, senza particolari pretese e con dei messaggi stavolta forti e chiari, un po' come Vasco ha sempre voluto rappresentare nella sua genuità. Sarebbe arrivato tra poco Sanremo, di conseguenza ancora più potere, che lo porterà negli anni ad una lenta discesa artistica nel tempo; ma fino ad allora Vasco è stato quel cantante ritenuto senza speranza, che a guardarlo oggi fa quasi impressione pensare al cammino che abbia fatto. Nonostante gli eccessi, la vita spericolata e le critiche di un certo tipo di pubblico borghesotto dell'epoca, Vasco alla fine ha finto, che piaccia o no resta una sacrosanta verità.
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