E’ difficile considerare lucidamente l’epoca in cui si vive, si rischiano elucubrazioni grossolane, approssimative.
Viviamo forse in tempi decadenti? Può anche essere, però che cosa esattamente decade in questi tempi che non sia già crollato in passato? La putrida palude umana ha già inghiottito tutto l’inghiottibile.
Stiamo forse vivendo un “nuovo Medioevo”? Bah, la storia non si ripete mai pedissequamente e poi, tutto sommato, ho sempre visto la parola “Medioevo” come un’etichetta; un mito per inquadrare a spanne circa mille (mille!) anni di cammino umano.
Allora un’epoca confusa? Credo che la confusione sia stata la condizione di ogni epoca; si procede a tentoni, a spanne. Si propugna al popolo, di volta in volta, un oppio confacente ai bisogni contemporanei sperando di distrarlo dalla mancanza di direttrici di chi siede nelle sale dei bottoni. Oggi, al posto della religione abbiamo mentalisti e guru che vendono spiritualità e conoscenza un tanto al chilo, al posto del socialismo abbiamo tentativi di “democrazia liquida” (che termine orrendo e insulso!).
Possono essere allora decadi di transizione? Ma quali decadi non lo sono state? Ogni epoca conteneva i semi di quella successiva e, soprattutto, non vi sono tempi oggettivamente migliori di altri. La “Belle Epoque”, per esempio, forse non è stata così bella; prima di tutto perché non era esattamente estesa a tutto il globo terracqueo e poi perché, tra l’altro, conteneva al suo interno i germi della futura Grande Guerra.
Eppure, vi sono stati uomini che non solo hanno decifrato i codici del loro tempo, ma nelle loro opere (i famosi “atti degli apostoli” di cui parlava Henry Miller) si percepisce l’eco lontana delle generazioni a venire. Kandinskij, uno dei padri e forse il vero teorico dell’Astrattismo, è stato uno di questi uomini.
Pittore, incisore, pensatore ardito, nel 1910 è riuscito a pubblicare “Lo Spirituale nell’Arte”; saggio tra il filosofico e il metafisico che considera i risultati artistici della sua epoca e non solo. Una professione di fede di un’artista che, con questo scritto, ci permette di entrare nel “Sancta Sanctorum” della sua coscienza.
Mentre a Parigi Picasso varava il Cubismo e Matisse diventava il leone più imponente dei “Fauves”, Kandinskij, russo che visse quasi tutta la sua vita in Germania, si spingeva oltre: la pittura doveva superare finalmente qualsiasi legame con la “realtà visibile” e doveva farsi musica. Solo così, con questo salto nel “puro suono”, poteva finalmente entrare in un regno di sensazioni sfumate e di emozioni delicate; un regno che era venuto il tempo di conquistare.
Questa ricerca di “musicità” ha avuto dei precursori, almeno in letteratura. Verlaine già componeva poesie in cui il significato era subordinato al suono. Suono non inteso come gradevolezza all’orecchio, ma come capacità delle parole di depositarsi direttamente nello spirito di chi leggeva, “saltando” l’intelletto (la poesia “Art Poetique” è una specie di manifesto programmatico del suo modo di lavorare e, seppur in maniera meno cosciente, è lontana parente dello scritto di Kandinskij).
Lo stesso Mallarmè, già criptico di per sé, negli ultimi anni intensificò i suoi tentativi di disintegrazione lessicale e in “Un Coup de Dés Jamais n’Abolira le Hasard”, le parole venivano disposte sulla pagina secondo un procedimento che ricordava le note sul pentagramma.
Nello scritto Kandinskij espone la sua teoria dei colori; una teoria, tutt’altro che tecnica, in cui il russo si sforza di cercare nelle varie pigmentazioni un preciso valore spirituale. In cui i colori (e le loro combinazioni) arrivano a chi li guarda secondo una forza (centrifuga, centripeta), una gradazione (calda, fredda) e una luce (chiara,scura) particolare.
Anche in questo caso, la letteratura ha frugato a piene mani nell’arte figurativa cercando di assegnare un valore cromatico alle parole. Rimbaud con “Voyelles” assegnava un colore ad ogni vocale, e lo assegnava con una valenza quasi esoterica. Andrej Belyj (dimenticato, ma notevolissimo poeta russo ), immergeva i suoi componimenti in una luce fiammeggiante e chiassosa che dava un alone incendiario alle sue opere; il suo romanzo “Pietroburgo” è un capolavoro senza eguali nel Novecento, se non altro per l’incredibile “grumosità” degli accadimenti che si scioglievano in vere e proprie tavolozze pittoriche.
“Lo Spirituale nell’Arte” è forse il secondo modo migliore per approcciarsi a Kandinskij; il primo sarebbe guardare dal vivo un suo pezzo originale, cosa che non mi è (ancora) capitata. Però il mio compleanno è alle porte e se qualcuno di voi non sa cosa regalarmi.
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