Che cosa significa veramente sostenere che un'opera d'arte sia difficile. Come può essere difficile da capire quanche cosa che per sua natura si presti a essere giudicata a seconda della soggettività di ciascuno. Perché è evidente che del resto ognuno di noi davanti a un'opera d'arte è naturalmente chiamato a "sentire" e queste sensazioni costituiscono in ogni caso l'espressione di una opinione e di giudizi che nella loro somma danno un valore all'opera diciamo "universale" che trascenda le intenzioni del suo stesso autore. Questo naturalmente non nega il ruolo e la professionalità specifica di un critico. Ci sta quella famosa frase del resto per quello che riguarda la musica secondo la quale ogni critico sarebbe in verità un musicista fallito: è sicuramente divertente, ma in qualche modo "pericolosa" o comunque generalista in un momento particolare come questo. Facciamo allora che un critico è una specie di guida: uno "storico". Uno che sa le cose e che le spiega secondo il suo punto di vista.

Questa conditio tuttavia non esime ciascuno di noi da rispondere a quella "chiamata" che poi dà all'arte la vera ratio della sua esistenza. Nelle nostre pure limitate competenze e secondo la nostra sensibilità e il nostro gusto, abbiamo una specie di dovere morale verso noi stessi di esprimere una valutazione. Non farlo sarebbe un atto di rinuncia, per viltade un gran rifiuto, quindi qui dico chiaramente quello che penso, cioè che "Terminal" (2018), il thriller noir diretto e scritto da Vaughn Stein è un bel film e che ha un fascino tutto suo particolare e questo nonostante sia stato montato in una maniera che definire quantomeno perfettibile e che poi forse è proprio questa ragione stessa, questo difetto, così come altri possibili "giri a vuoto", che lo rendono così intrigante e affascinante. La storia? Diciamo che sta tutta nella interazione tra dei personaggi caratteristici e legati al mondo del crimine che si aggirano di notte all'interno di una stazione ferroviaria in una città indefinita e misteriosa. C'è un capo della malavita enigmatico e che non si fa mai vedere e che comunica le sue "istruzioni" solo a telefono, ci sono due serial killer usciti per un terzo da un film di Quentin Tarantino e per gli altri due dal cinema di Danny Boyle e quello di Guy Ritchie, c'è un professore che deve morire e c'è un custode che fischietta il motivetto di "Danny Boy" e che ricorda un po' Ernest Borgnine in "Escape From New York" e che comunque si vede subito che sa troppe cose. C'è una ragazza che è poi la più misteriosa di tutti, bellissima e fatale e che appare e scompare quando meno te l'aspetti e però sempre al momento giusto.

Costruito a blocchi, dove si alternano su diversi piani temporali tutte le vicende e secondo un tema parodistico ripreso poi dal mondo delle meraviglie di Lewis Carroll, la vera trama si ricostruisce e si definisce in una maniera compiuta solo alla fine. Prima di allora tutto è confuso. Forse troppo. Per apprezzare il film e starci dentro fino alla fine bisogna concentrarsi sulle singole scene e considerarle nella loro unicità, perché altrimenti si esce fuori di testa, dato che è difficile trovare il filo conduttore e impossibile prima della fine sbrogliare la caratteristica matassa. Ma il film, pare fortemente voluto da Margot Robbie, attrice protagonista e prima producer del progetto, a modo suo funziona, ricordando certi simbolismi del cinema di Refn in una maniera meno efficace di "Drive", molto meno volgare e pacchiana di "The Neon Demon", alla fine meno minimalista di "Only God Forgives" anche se forse alcune tematiche poi sono effettivamente comuni. Colorato sulle tonalità della attrice protagonista e con un cast che funziona e dove spiccano Simon Pegg, ma soprattutto Dexter Fletcher e Mike Myers, alla fine posso dire che se "Terminal" non è un film riuscitissimo, fa di questo aspetto un suo punto di forza e forse un giorno potrebbe diventare una specie di piccolo grande cult. Si dice così alla fine qualche cosa che non viene capita, ma però piace e in fondo il proprio apprezzamento e giudizio molto spesso va al di là della comprensione vera e propria.

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