VEGETABLE G

Calvino (Olivia Records, 2009)

 

E' ormai appurato che gli alieni siano stati sulla terra e che, nel loro girovagare, abbiano incontrato Calvino. E che QFWFQ vada girando, ancora come allora, per qualche punto nella galassia. Ne è prova questa splendida copertina - foto - illustrazione (firmata Gianni Troilo) dell'ultimo disco dei pugliesi Vegetable G ... ma come collocare questa misteriosa presenza nello spazio, nel tempo e nell'universo musicale non è così semplice.

Disco omaggio alle "Cosmicomiche" del più internazionale degli scrittori italiani del ‘900, "Calvino" è la seconda boccata d'ossigeno (dopo "Geneaolgy") che i Vegetable G offrono alla scena indie italiana. Senza pretese di classificazione o esaustività, potremmo definire la scena emergente italiana sostanzialmente divisa in due tronconi: da un lato il filone shoegaze, più tosto, oscuro e affine alla lezione, del quale emblema recente potremmo definire il bello (ma un po' ripetitivo) "Our Secret Ceremony" dei Julie's Haircut (ma anche Yuppie Flu, Giardini di Mirò); dall'altro un filone marcatamente più pop - new wave, che però non disdegna insert acidi e non dimentica (e anzi assimila) le sonorità che vanno dai Beatles fino ai cupi anni '80... i Vegetable G sono lì, assieme (con molte differenze, a seconda delle traduzioni musicali) agli A Toys Orchestra, agli Edwood e francamente, a poca altra roba.

E ci fanno una bella figura. Perché nella sprovincializzazione dei suoni, non si adattano a un clichè prestabilito ma, pur senza tecnicamente inventare nulla di nuovo, ne fanno una commistione innovativa, una continua ricerca di galassie inesplorate. La bella "Arcade Lovers", con un bel attacco di piano, nel suo incedere scanzonato sembra ricalcare la sua antecedente "The Cox Man" aprendo la strada alla title-track "Calvino", che disegna i paesaggi lunari che si incontreranno per tutto il disco, sospesi tra piani, rhodes, synth e chitarre acide. Si segnalano la deliziosamente fuori registro "American Lessons" marcia soffusa che, nel suo incedere rock elegantemente incorpora nel finale l'inno di Mameli e quello americano, le chitarre acide (meraviglioso l'attacco!) della tirata "Electric Show" che si intarsiano sapientemente con i synth, l'elegantissima "Satellite Tune" sospesa tra carillon e bassi, fino alla cosmicomica "Space Forms", passeggiata tra relitti spaziali e galeoni di pirati con stile Blur, distacco alla Battiato (a proposito di artisti internazionali) e incedere alla "Satan Eats Seitan" dei Julie's Haircut. E' il culmine del disco, non sappiamo più in quale dimensione ci troviamo.

Attacca più punk "Starchild" (perché neanche gli alieni uscirebbero vivi dagli anni '80), e la terra si rivede in lontananza. I raffinati archi su chitarra acida di "Saucerman" aprono la strada al bel crescendo stile Baustelle di "BW" e all'allegra "Hal". Complessivamente (e non è poco) nessun momento di noia, la passeggiata tira che è un piacere.

Ne esce fuori un disco interessante, arrangiato con intelligenza, meno monumentale di "Genealogy"; "Complicity" ci aveva affascinato col suo essere pretenziosamente (ma non pretestuosamente) Bowie del nuovo millennio, ma qui le atmosfere cominciano a sospendersi. Sicuramente un registrato più pop e con molte declinazioni interessanti per la resa live (uno dei punti di forza del gruppo): avendoli già visti, difficilmente il terzetto rinuncerà agli aspetti più noise, ma molti pezzi si prestano facilmente ad una rivisitazione più intima, quasi da secret-show. Li aspettiamo al varco con una certa curiosità.

Il finale è della terrestre (!) e calda "X-clock", con le sue magnifiche chitarre arpeggiate e malinconiche... "...una volta passando feci un segno in un punto dello spazio, apposta per poterlo ritrovare duecento milioni di anni dopo, quando saremmo ripassati di lì al prossimo giro..."  recita lo scarno libretto del disco (in realtà sono ancora "Le cosmicomiche") ... è il momento dell'incontro, del passaggio da un punto conosciuto prima del big bang e del ricominciare un altro giro. Prima del ricominciare un altro ascolto. Di QFWFQ neanche l'ombra... e beh, Calvino è pur sempre Calvino.

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