Velvet Cacoon, una tetra foresta nel cuore dell'Oregon, abitata solo da due individui, che celano la propria identità dietro criptiche sigle e forgiano nel silenzio una discografia molto più fertile di quanto si possa immaginare basandosi solo sui lavori ufficiali.
Genevieve, cos'è che non ha mai smesso di perseguitarti?
Surrealismo di un paesaggio trafitto dalla perversione di chitarre riverberate fino alla morte, sovraccariche di echi dalla glacialità spaventosa.
Un'eclissi che estende i propri confini in un terreno dove la vita sta terminando il suo ciclo e non resta che una voce straziata a farne le spese e a narrare la desolazione di un inverno spietato.
Divorare con fame febbrile ogni istante di questa congelante alienazione, la forza di una natura buia, fredda, inoppugnabile, che pretende la tua linfa, trascina e risucchia ogni tua energia.
L'entropia di un sistema che finalmente trae giustificazione al proprio esistere, smette di contemplarsi come fine a se stessa e si serve del lento e paziente lavoro di corrosione di un suono che sembra provenire da sott'acqua per frantumare ed erodere pezzo dopo pezzo la realtà per ricomporla ad altri livelli.
Lentamente sfuma l'ultima traccia, Beta Noir...Tutto finisce poi, e resta solo un cielo stellato, dove mi ritrovai. Una morsa di gelo nel cuore.
Mi dissero che l'inverno era ancora lontano.
Non volli crederci
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