E' appena uscito il quarto album dei Verdena, a circa 3 anni di distanza dal "Suicidio del Samurai". L'ultima fatica prende il nome di "Requiem". Partiamo proprio dal nome dell'album: il "requiem" è una messa secondo rito cattolico, celebrata in memoria del defunto. Celebrata come servizio funebre soprattutto per i defunti eccellenti. Anche se ai Verdena non piace si conferiscano significati alle loro parole (per il semplice fatto che i loro testi non sono frutto di sentita speculazione semantica, bensì nascono dall'accostamento di parole che hanno per lo più un valore melodico) proviamo a produrre un'inferenza: si riferiranno mica alla morte di Dio, oppure stando alla copertina dell'album (bozzetto consumato di loro stessi) alla loro stessa morte? Lasciamo sospeso questo interrogativo e superiamo questa introduzione.

Domandiamoci: l'album dei Verdena è un capolavoro?

Punto uno: l'album arriva come detto a distanza di oltre tre anni, nei quali il gruppo si è cimentato in un infinito tour europeo (Germania, Svizzera, Austria) costellato da tante soddisfazioni personali, dal riconoscimento del loro valore oltre i confini italici, e anche da discrete vendite: se è vero che i tour aiutano a vendere. Insomma da questo aspetto è conseguentemente dedotto che i Verdena non hanno avuto alcuna fretta, si sono goduti il momento (com'è giusto che sia) si sono divertiti ed hanno lavorato con umiltà. Umiltà si: perchè un gruppo affamato di successo insegue costantemente l'album esplosivo (andando a finire inevitabilmente nel commerciale) mentre chi conosce "mediaticamente" i Verdena, sa che di queste cose se ne fregano. Dunque umiltà, ma anche abilità nell'autogestirsi: non è mai facile prendersi tanto tempo con i fans che vanno in depressione nell'attesa del prossimo album. I Verdena hanno fatto tutto bene: hanno suonato in Germania, hanno composto pezzi in tour (inevitabile: loro suonano sempre) hanno testato gli stessi pezzi in tour, hanno messo tutto insieme nel loro studio, con intelligenza e senza fretta. Risultato: album ispirato.

Punto due: maturità. Come i fans sapranno, i Verdena uscirono con l'omonimo album nel 99', prodotto da Giorgio Canali. Seguì "Solo un grande sasso" prodotto da Manuel Agnelli (leader Afterhours) e poi l'esperienza matura ed evolutiva dell'autoproduzione, con "Il suicidio del samurai". Adesso è ovviamente di nuovo autoproduzione (anche se due tracce sono prodotte da Mauro Pagani... mica poco) e si vede che il secondo tentativo di autoproduzione ha fatto registrare notevoli miglioramenti. Non che il "Suicidio..." fosse un tentativo mal riuscito, per carità, ma stavolta è davvero interessante notare come siano ben arrangiati e prodotti i pezzi. Inoltre c'è da fare un ulteriore considerazione, e qui rimando al successivo punto.

Punto tre: sicurezza nei propri mezzi, istintività, disinibizione. Queste sono le caratteristiche, che a nostro parere, trapelano fin dal primo ascolto superficiale dell'album. Il timido Alberto ormai è diventato un "veterano", e merita la considerazione che sempre più la critica alternativa gli ha riservato. Ma qui effettivamente non si tratta tanto di riconoscimenti: forse il tour in Germania è stata davvero un'avventura "formativa" ed esaltante (anche quest'ultimo attributo merita attenzione). Ormai Alberto ha imparato ad osare, sia nell'espressività chitarristica, ma soprattutto in quella canora. Questo album è a nostro parere il prodotto esplosivo delle ultime esperienze vissute dai Verdena. C'è proprio tutto: carica adrenalica, poliedricità (ancora più che in passato), istintività, ed è certamente un album molto più "diretto" dei precedenti, almeno rispetto gli ultimi due. Un esempio lampante? "Muori delay", il primo singolo, va fortemente fuori dai canoni Verdeniani, è sicuramente la canzone che più si discosta dalla produzione made in Verdena: traccia corta, sfacciata, ironica, (a livello sonoro un po' sullo stile degli ultimi Muse) non è un caso forse che questa traccia sia nata con la collaborazione di Bugo. Qui apro al quarto punto: ironia. Anche in questo aspetto si discostano dai loro precedenti lavori, e questa caratteristica sembra diventata proprio una proprietà maturata dal giovane Alberto. I testi li scrive lui. Chiunque abbia ascoltato come si deve i precedenti album, può notare il baratro che separa il primo album da quest'ultimo. Diciamoci la verità: i testi del primo album non erano certo l'attributo migliore dei Verdena, anzi erano un' evidente pecca. Questa è la dimostrazione che a voler fare gli alternativi, e non assecondare il pubblico con favole d'amore e storielle scontate, c'è sempre da guadagnare. Per la verità già a partire da "Solo un grande sasso" abbiamo avuto il piacere di ascoltare testi migliori, ma stavolta il nostro Alberto si è proprio superato.

I testi infatti sono stupendi: astratti quanto è giusto, efficaci, metaforici, e come detto anche ironici. Come esempio basta citare la solita "Muori Delay" scritta a quanto pare con Bugo (ecco giustificata la comicità): "sento che durerà un pò, deriso dalla folla il clown.." questo verso insieme a tutta la continuazione del ritornello sta a testimoniare la mutazione "versione ironia" attuata dai Verdena. Ma perchè non citare in questo senso anche "Sotto prescrizione del dottor Huxley" e relativi versi: "Io sono l'hippy che fuma i giorni tuoi, puoi ridere con me, rimani solo un po'..." ? Per inciso il riferimento va a Aldous Huxley, scrittore che ispirò anche Jim Morrison, il quale diede il nome "The Doors" alla band proprio attingendo dagli scritti di Huxley, all'ora di moda tra gli hippie perchè trattava nelle sue speculazioni anche di sostanze psichedeliche.

Adesso parliamo di musica (era ora) cercando di mettere insieme quando detto: l'album apre con "Marti in the sky", un'intro originale, ironica, "cazzeggiante" come tutto l'album oserei dire. Nell'album, lo abbiamo detto, c'è tutto: "Don Callisto", "Isacco Nucleare", sono i pezzi più "rock", più pesanti (sullo stile delle precedenti "Logorrea" ed "Elefante"). "Canos" invece è una traccia sullo stile "stoner", un po' "Queen of Stone Age", con tanto di cazzeggi e arpeggini spagnoleggianti (proprio come il gruppo di Josh Homme). Il "Gulliver" , durata "11 minuti e 52 secondi", è la traccia più arzigogolata tipica dei Verdena da "Solo un grande sasso" in poi. Mentre vanno poi distinte le stupende "Trovami un modo semplice per uscirne" (la più bella dell'album) ed "Angie" (testo magnifico e commovente) prodotte da Mauro Pagani, come già accennato. Inutile dire che queste ultime due canzoni sono due vere perle, sia per la produzione "sapiente", ma anche per i testi, melodia, e musica. Ma tutta la produzione dell'album è eccezionale: quindi complimenti ai Verdena anche come produttori artistici. Altre mie personali segnalazioni: "Il caos strisciante" (forse la canzone più completa sotto tutti i punti di vista) e "Non prendere l'acme, Eugenio": semplicemente straordinario il riff portante, e con esso tutta la strofa (basta ascoltare questa porzioncina di ottima musica per capire quanto sia davvero migliorato il gruppo bergamasco).

Se proprio dobbiamo trovare una pecca, in un album che come si è visto risulta: composito, pieno di spunti inediti, ispirato, graffiante, ironico, diretto ma anche più maturo, allora possiamo fare riferimento al fatto che molte canzoni - come "Non prendere l'acme, Eugenio" - sembrano un po' incomplete, sembrano canzoni a metà: ottimi spunti ma meno lavorati, almeno da un punto di vista compositivo, rispetto ad altri album. Ma non pretendiamo la perfezione, a noi va bene così. Per tornare alla domanda iniziale: l'album dei Verdena è un capolavoro? Ebbene si...

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