Quello che posso dire di "Requiem" si avvicina ad essere un periodo lessicale in decomposizione, dalla prima, all'ultima sillaba.
Il nuovo album dei Verdena è la riprova di un ristagno, di una frustrazione, di uno stile di vita, quello europeo ed italiano, che stanno smarrendo la genuinità venuta meno nell'arte, nella musica, nel cinema, e (il Vero dramma) nella scrittura, dopo il crollo del muro di Berlino, e che con fare irreversibile hanno oramai decretato la propria fine in questo funesto avvio di millennio.
Generazioni di ragazzini stanno crescendo convinti che quando si abbia a che fare con l'ABC della musica rock contemporanea in Italia, allora personaggi da "saltimbanco" quali Verdena, Afterhours e (i nuovi e maggiormente gay-chic-glamour) Marlene Kuntz, ne rappresentino l'estrema ed immaginifica esemplificazione.
"Requiem", è una aberrazione di dimensioni così atroci, da innescare meccanismi di stampo omofobico tra i più gastro-sensibili. Non solo ogni singolo brano si propone di essere scontato e ripetitivo (con un utilizzo NEANDERTHALIANO degli stessi sintetizzatori), ma suona così fottutamente patinato, da stridere in modo ultrasonico. Osceno. Al punto tale da far sanguinare e da corroborare ogni zona parietale in grado di potere dare segnale di resistenza tiziano-ferriana.
E' questo un fallimento dell'intero ceto discografico "mafiosamente" (quanto "afterhoursmente") italiano, che parte in quarta producendo album a gente con pettinature da stupro, per ridurle a parodie chapliniane di icone dell' "andat-fottut-triplicament-inculat" rock'N'roll.
Ma la cosa che secerne vomito dal mio stomaco gangrenoso, è che questi tre yuppies abbiano intrapreso le registrazioni mediante autoproduzione. Cosa che lascia definitivamente trasparire la semplicioneria con cui ogni singola nota si appresta ad esistere.
Consapevole delle sevizie e delle G. E. S. T. A. P. IANE conseguenze a cui il mio parere verrà sottoposto al confronto di "certi" terzi, lascio a voi la consapevole libertà frustrata di sbranare un'opinione che oramai circola in (VERAMENTE E STUFATAMENTE) molte, ma poco coraggiose, menti.
Fatevi sotto, suvvìa: venitemi a dire che il loro "lavoro" è tuttavia "passabile".. trovate milioni di scuse volte a motivare i numerosi ticket dei concerti dittatoriali a cui avete assistito, sottomessi. Ditemi che "tuttavia" non c'è niente di meglio in Italia, ditemi che è quanto di più psichedelico una certa musica di parte abbia mai potuto esprimere, ditemi che il rapporto lirico-sonoro del Ferrari è così innovativo da fare la barba a Ginsberg, ditemi che il basso è VOLUTAMENTE (?!) minimale, ditemi quello che provate, e anche quello che tutti ciò vi fà provare, di così magistralmente passionale.
"Requiem", ovvero (appositamente!) la morte di quel poco di sano e genuino che rimaneva nel nostro "bel" paese. Una scommessa defunta.
E come disse un certo Barret (oramai in volo) ad un certo Gilmour:
"Credo che tutto ciò sia datato da un pezzo, non trovi?" (1979)
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