"I dischi vanno ascoltati. Ancora, e ancora, e ancora."

Quando nell’inverno del ’79 Joe Strummer si presentò negli studi della CBS con in mano il progetto di un blocco di 37 tracce da vendere come triplo LP al prezzo di un doppio (che poi diventò, in un ironico gioco al ribasso, un doppio al prezzo di un singolo), tutto ciò che ottenne dagli amministratori della major statunitense fu un irrigidimento abbastanza evidente, probabilmente condito con una grassa risata, per quella che poteva sembrare un’impresa totalmente folle, nata dall’idea malata di un gruppo di inglesi squinternati di comporre almeno un paio di tracce al mese per tutto il 1980, e di confezionare il tutto in un pacchetto regalo per gli ascoltatori che fosse anche coerente con l’eterna lotta strummeriana contro l’eccessivo costo della musica. Il risultato, passato sotto la produzione della Epic (di fatto controllata della CBS), fu “Sandinista!”: (quasi) universalmente riconosciuto come uno dei migliori album della storia del rock, ennesimo baluardo di quella sperimentazione nota anche ai profani del settore, rappresenta sicuramente un punto di riferimento per ogni clashiano che si rispetti e che, nella maggior parte dei casi, però, lo apprezza soltanto in qualità di effettivo punto di svolta nell’iter evolutivo della band e, sicuramente, almeno dopo il secondo ascolto. Perchè, diciamoci la verità, “Sandinista!” sarà anche un passaggio fondamentale, ma -onestamente- è una palla esagerata, una mattonata sui cosiddetti, una roba che sembra non finire mai, esasperante rispetto ad esperienze pregresse ed evidentemente più punk.

 

E’ il difetto del doppio album, che già vantava illustri precedenti, dal “White Album” a “The Wall”, piuttosto che “Mellon Collie”, “Trust Us” (Motorpsycho) o il tanto atteso doppio dei Flaming Lips (sperando che non vengano investiti da un’altra botta di sfiga), così per fare un po’ di esempi non tanto a caso, per arrivare a dire ciò che voglio dire. La cosa che mi ha fatto più ridere in assoluto di questa storia dell’uscita del nuovo album dei Verdena è stata sicuramente la corsa al paragone, all’identificazione delle possibili influenze sull’opera dei fratelli Ferrari più signora (perchè signorina pare non si possa dire più), e quelle appena citate sono soltanto alcune delle più quotate: c’è addirittura chi chiama in causa gli Air, gli ABBA, i Kyuss (!!!), i Radiohead, i Queens of the Stone Age, i Black Sabbath, i Beach Boys, Battisti e Battiato (?!?!). Il che, onestamente, comincia ad essere un tantinello inquietante, perchè tecnicamente un musicista potrebbe prendere ispirazione dalla qualunque, e a questo punto tanto vale ringraziare il cane di Luca Ferrari (o è Luca Ferrari che fa il cane?) e gli uccellini del cielo che hanno cinguettato per farsi registrare in “Grattacielo”. Insomma, per quanto alcuni richiami possano sembrare evidenti, forse sarebbe il caso di tralasciare una ricerca che rischia anche di essere affannosa e fuorviante.

Esce un nuovo album dei Verdena, che suona esattamente Verdena, nel senso che rispecchia abbastanza adeguatamente l’esperienza precedente della band bergamasca e la sua collocazione (se si deve dare necessariamente) nell’alveo dell’alternative rock della scena italiana; e, come tale, si apre con un gran bello spunto di continuità rispetto al sound dei lavori precedenti: “Scegli me (Un mondo che Tu non Vuoi)”, lacerante dichiarazione d’amore dal sapore dolceamaro, sicuramente destinata a procurare un colpo al cuore (soprattutto delle femminucce- scegli me, per lei io mi deflagrerei), suona quasi come una bella ventata di speranza, ideale reprise della malinconia lasciata nella chiusa di “Requiem” da quella prescrizione del Dott. Huxley più cupa e introspettiva (Per me l’unica è farsi del male/che importa/prima o poi riprenderai il volo). Dopodichè, la svolta: il secondo pezzo, “Loniterp” (leggenda vuole anagramma della band newyorkese Interpol), assume un tono completamente nuovo, esattamente nei ranghi di quell’indie rock sempre più in voga nell’ambiente underground (e manco tanto), che però va a sporcarsi per diventare qualcosa di ancora diverso, una sorta di gioco che parte con una cadenza ritmata destinata a sfociare in una variazione a cappella che si conclude con una cosa che ricorda tutto e niente, una specie di chiusa alla Blur (tipo intro di “Charmless Man”). E poi? “Per sbaglio” i Verdena s’infilano in un sentiero psichedelico quanto mai assurdo, che prelude ad un ritorno di stoner (perchè, a quanto pare, la critica concorda sulla vena stoner del gruppo) di “Mi Coltivo”. Da qui, inutile continuare nel track-by-track: il singolo “Razzi, Arpia, Inferno e Fiamme” lo conosciamo già da un mesetto, si vociferava che fosse un fake e, a conti fatti, potrebbe davvero essere la traccia totalmente fuori contesto, ma non è questo il punto: il punto è che, da questa in poi il problema del doppio album inizia a diventare sempre più evidente.

Mi spiego: non trattandosi di un concept, e cioè di un album a tema, la sensazione che si ha comincia ad essere quella di una mescolanza un po’ troppo spinta, quasi di un insieme di tracce buttate là a caso, con qualche episodico richiamo al passato (“Lui Gareggia, Attonito, La Volta”) alternate ad una serie di sperimentazioni certamente valide e apprezzabili -i due “Sorriso in Spiaggia” sono letteralmente un’estasi, almeno per la sottoscritta. Ma rimane tutto un po’, come dire, sospeso. Per cui viene da pensare che un doppio album, oltre che una scelta volutamente desueta, sia -francamente- un po’ troppo poco digeribile, nonostante il mare di opinioni positive, non me la sento proprio di dire che si tratti di un disco bellissimo in senso assoluto. Perchè un disco bellissimo è un disco che ti coinvolge in un climax di soddisfazione piena dall’inizio alla fine, e questo non ne è il caso. Di undici delle ventisette tracce proposte, forse, si potrebbe fare allegramente a meno, provando a pensare “Wow” come una sorta di gioco alla ricerca del vero quinto album dei Verdena all’interno di “Wow” stesso.

Detto in altri termini, il disco c’è, ed è realmente bellissimo, ma è nascosto. Dovete solo divertirvi a trovarlo.

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