Nati nel 1998 come side-project dei Gaupel, band Raw Black Metal di Aachen, i Verdunkeln producono una seconda uscita dopo il 2005, diventando una vera e propria band, parole loro. L'idea era quella di presentare una faccia enormemente più oscura ma ripulita dei Graupel (Verdunkeln significa all'oscurità in tedesco). I due suonano tutto indiscriminatamente, infatti non c'è relegazione nell'uso degli strumenti. Liriche in tedesco, curate tantissimo ma mai in primo piano, infatti non esiste un elemento protagonista nella loro musica, costringendo chi ascolta a sorbirsi enormi monoliti dall'ascolto difficile e dalla durata decisamente elevata. La complessità quasi sinaptica di questo lavoro riveste l'ambiente in cui ci si trova di una patina molto simile a vetro smerigliato, che non potrà che lasciare la convinzione di aver trascurato sempre più di un dettaglio anche al centesimo ascolto. La resa è massima a mio parere, perchè di punti oscuri ce ne sono davvero tanti e appunto la sensazione di essere ciechi al buio permarrà sempre, per la natura stessa della musica che riescono a comporre. Circoscrivo questo discorso al disco che recensisco, in quanto quello precedente era abbastanza diverso e meno curato, date le intenzioni decisamente secondarie.
"In die irre" ci parla da sola, si contorce in sonorità di chitarre che sfumano lentamente ma costantemente, alternanze di riff black, doom e dark. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma la prima sensazione è la fortissima influenza dei Dolorian nella struttura stessa di ogni traccia, ma siamo al 35-40% del totale. La batteria si trascina lentamente, ma mai fa pensare a ritmiche doom, sebbene i riff lo siano spessissimo (peraltro i due ammettono esplicitamente di ispirarsi al doom). Le sovraincisioni di chitarre permettono di far risaltare momenti pesantissimi, tremoli e addirittura assoli. La voce è a volte in scream, ma mai estrema, sempre sommessa e non chiara, per non esporsi mai rispetto a nessun altro strumento.
"Im Zwiespalt" si trascina lentamente senza ripetersi facilmente per i suoi quasi 16 minuti, rendendosi strisciante e avvolgente come le spire di un serpente, attraverso momenti di decise cavalcate e silenziose chitarre minimali arpeggiate.
"Der quell" non aspetta altro che iniziare, stavolta più invadente delle precedenti, e qui il caos, indotto dalla stessa cura di ogni particolare sonoro, impone la massima concentrazione per potersi dirigere verso la luce della comprensione, che ma viene raggiunta, essendo sempre opposta alla direzione che si sceglie. La densità è troppo elevata e renderà il disco rinnovato ad ogni nuovo ascolto cui lo si sottopone. Il gioco dei contrasti di sporco e pulito regna nel dominio di ogni strumento, dalle chitarre, alle voci, alle parti di batteria e basso, così omogeneamente che la confusione ci sembrerà una sensazione normale alla fine del disco.
"Die saat der klinge", nerissima come una notte senza cielo, continuerà infatti a divorare il cervello nutrendosi di risposte, lasciando solo domande che perdono priorità man mano che il loro numero aumenta. Le parti di tastiera delicate e avvolgenti non perdono mai il confronto di spessore con gli altri stumenti.
"Der herrscher" si dedica a sonorità miste tra ambient e dark, mai separandosi dal black però. Un altro viaggio nella spazialità del buio, anche se solo illusoria. Altri 17 minuti di riff alternati, sovraincisi e mischiati così tanto da renderli nuovi man mano che si sceglie di proseguire nel duro ascolto della quinta traccia.
"Aut freiem felde" conclude questo lavoro con un inno all'oscurità che non si distacca affatto dalla concezione che fin'ora ha avuto il duo tedesco. La sensazione di arrivare alla fine si ha a prescindere dalla conoscenza dei minuti al termine del disco, rendendo ancora più perfetta la chiusura del cerchio che è iniziato un'ora fa, ma che sempre quello è restato.
Non serve sperimentazione, tecnicismo esasperato oltre il necessario, facce, sceneggiate pubbliche o ampie ambizioni di soldi e successo. Tutti possono capire che questo CD è stato fatto in maniera poco furba: 6 tracce con 600 possibili riff differenti. E' più di un CD, ne sono molti sintetizzati in un concetto atmosferico-musicale che non poteva che essere reso così, con un enorme spreco matematico ma con guadagno artistico esponenziale. Gnarl e Ratatyske parlano della loro musica come un qualcosa che si evolve lentamente, ma se in pochi anni hanno saputo produrre una qualità così alta, o sono una delle band con più fantasia in un panorama dominato da cloni, o hanno prodotto uno dei CD più personali del black e già questo li porta a meritare un ascolto decisamente più ampio e riconoscente.
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