Vìctor Erice, oggi 75enne, è un regista cinematografico spagnolo autore di soli 3 lungometraggi, il primo dei quali Lo spirito dell’alveare (1972), oggetto della recensione, è considerato film di culto.
Ambientato in Spagna nel 1940, appena dopo la guerra civile, in un villaggio della Meseta castillana, Lo spirito dell’alveare racconta la vita quotidiana di due bambine. Isabel e Ana sono sorelle. Isabel è la più grande, cattivella e dispettosa. Ana è più piccola. Ana è buona, profonda e riflessiva.
Un giorno giunge in paese un camion ambulante e porta con se il cinema! Grandi e piccini pagano il biglietto per assistere a questo strano film. Si tratta de Il dottor Frankenstein di James Whale del 1931.
Alla fine della proiezione, effettivamente, i bambini sono turbati dalla visione e Ana in particolare resta affascinata dalla terrificante creatura nella celeberrima scena in cui il mostro incontra la bambina in un bosco nei pressi di un fiume.
Il film non ha una vera e propria trama, non inizia e non finisce. È un film suggestivo visto dalla parte dei bambini, o meglio, con gli occhi dei bambini. La loro curiosità, la loro fantasia, il loro mondo immaginario si contrappone ad un paesaggio arido e desolato, ad una campagna brulla, al mistero e all’inquietudine della natura e del circostante, all’assurdità della guerra che porta la morte, così inutile e incomprensibile.
L’alveare e il suo “spirito”. Le api. Il papà delle bambine è un apicultore e le api forse siamo noi, sempre indaffarati a fare qualcosa come se fosse “necessario”.
Un film sottile, poetico ma anche piuttosto inquietante a tratti quasi angoscioso. Un film di inquadrature fisse e di silenzi, di sguardi. Un film misterioso.
Ana troverà il suo Frankenstein, il suo spirito. Lo troverà, lo perderà e lo cercherà di nuovo.
Lo spirito dell’alveare è un film circolare o forse in espansione.
Lo spirito dell’alveare è un piccolo gioiello.
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