"Tarots and the North" (dodici scritti abbinati ciascuno ad un Arcano Maggiore di Luis Royo)
"III. The Hermit"
Basta l'illustrazione di Jukka Kinanen per carpire l'essenza del debutto dei finlandesi Viima: un vecchio, circondato da un paesaggio solamente tratteggiato, incorporeo, è rivolto ad Ovest dell'osservatore, le membra immobili, lo sguardo rapito. Aristotele l'avrebbe definito "filosofo", soffermandosi ad esaminare lo stupore traboccante dai suoi occhi sbarrati, muti spettatori dell'incessante scorrere di eventi imperscrutabili, troppo vasti e complessi per poter essere decifrati da una mente sola e sopraffatta, che non smette comunque di scrutare e speculare sul loro recondito significato.
Pensieri dai margini del mondo. Questa approssimativamente la traduzione dell'eloquente titolo di un'opera vivace ma introspettiva, registrata nel 2005 da una formazione nata soltanto per rivisitare i primi Jethro Tull e finita invece, sulla spinta di un'invincibile vocazione, a celebrare sacre unioni tra le melodiche esplorazioni soliste del rock sinfonico e le docili cadenze di un reparto ritmico ancora fedele alla tradizione folk. A tale situazione, invero già piuttosto atipica, gli autori dei testi decidono di aggiungere la scelta, tutt'altro che popolare ma sommamente degna di rispetto, di non utilizzare parole inglesi, preferendo esprimersi in una lingua madre intimamente legata ad ammalianti atmosfere d'inequivocabile matrice nordica e stabilendo una formula che sarà riproposta, a dispetto delle divergenze stilistiche, anche nel seguente "Kahden Kuun Sirpit" del 2009, ambientato in territori non così distanti dai regni fatati dei greci Will-o-the Wisp.
"Ajatuksia Maailman Laidalta" è, obiettivamente, un album abbastanza facile da illustrare, in quanto le sue sceneggiature tendono a voler ripresentare lo stesso schema di fondo, nel quale i ruoli dei protagonisti sono tanto estesi e ricorrenti da costringere il tastierista Kimmo Lähteenmäki e Mikko Uusi-Oukari, addetto alle chitarre, a dividersi tra conviviali danze di sapore rurale ("Leijonan Syksy"), sagre paesane culminate nelle festose premiazioni di giostre medievali ("Ajatuksia Maailman Laidalta") e quieti pomeriggi passati ad osservare lontani stormi di uccelli perdersi nel rosso diluito del tramonto ("Ilmalaiva Italia").
L'instancabile personaggio dietro il piano e i vari sintetizzatori, apparentemente non soddisfatto della propria indiscutibile centralità all'interno del progetto, viene pure creditato come batterista e ciò spiega a meraviglia la genesi di elementari andature che non si sbilanciano mai in modo evidente, accontentandosi di accompagnare le staffette vespertine tra il flauto di Anne Leinonen e il sax di Kimmo Alho ("Luuttomat") e, soprattutto, la nostalgica voce di Päivi Kylmänen, tanto espressiva nel raccontare la storia di un saggio marinaio da ricordare Jane Duboc nei suoi prodigi vocali con i Bacamarte ("Meri"). L'altro elemento irrimediabilmente in ombra è il basso di Jarmo Kataja, per nulla presente se non in concisi quanto timidi bisbigli nei vicoli di città governate dagli sforzi incrociati di tastiera e chitarra, sovrani entrambi, quasi fossero antichi diarchi di Sparta ("Johdatus").
Importanti cambi di organico favoriranno la realizzazione di un secondo disco più in linea con gli standard progressivi, ma per questo meno curioso ed inconsueto di un esordio eccentrico ed esigente, disposto a rivelare la sua efficacia solo in placidi momenti di stasi, quando la mente, proiettandosi oltre l'atmosfera, si lascia condurre alla deriva dalle proprie contemplazioni, mentre i luoghi e i contorni delle cose diventano, all'improvviso, soltanto tratteggiati.
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