Ogni tanto quando si vuol nominare l'universo californiano si rischia di fraintendere e non di poco le dimensioni di cosa significhi vivere e crescere nell'area di Los Angeles. Il vedere sulla cartina nomi che paiono ravvicinati porta a facili errori. Si trascura che quelle scritte sul punto di sovrapporsi nella realtà siano invece dei microcosmi unici che si differenziano l'uno dall'altro in modo imprescindibile. Una città satellite come Long Beach cade a pieno nella definizione appena descritta. La si vede sempre scorrere fugacemente lungo la highway quando si vuol andare nei più congeniali paesini da surfisti come San Clemente, senza scomodare la più lontana San Diego. Los Angeles di per sé non brilla di luce propria, bisogna saperla apprezzare e entrare nella giusta prospettiva, Long Beach dal canto suo si spegne fra complessi industriali, fumi di scarico che rendono l’aria insopportabilmente inquinata e un’area portuale piena di logori e arrugginiti container. È un posto così, anonimo, dove quella cartolina tipica “Greetings from California” luccicante, ricca di colori vivaci e paesaggi mozzafiato suona ridondante e anacronistica. In questa realtà si colloca un ragazzo giovanissimo, classe 1993, Vince Staples. Uno che il crescere nell’hood malfamato ce l’ha nel sangue, con il rischio di cadere nella vita da gang scongiurato grazia alla musica rap. Vince non è un nome che esce dal nulla, anni di mixtape e collaborazioni strettissime con l’ensemble Odd Future di Tyler, The Creator, lo hanno portato alla ribalta, fino a un contratto con la prestigiosa Def Jam. Queste sono le premesse che fanno nascere una lettera d’amore decadente per la sua città di nascita. Se Kendrick diviene lo storyteller di Compton, Vince Staples lo è di Long Beach, anzi di Norf Norf: Norfside, Long Beach. Il quadro complessivo del concept prende il nome di “Summertime ’06”.
La visione di Vince è molto genuina e cruda, proprio come il suo flow: asciutto e asettico, pronto a vivisezionare l’ambiente che lo circonda. Una disamina che nasce dal prendere coscienza di cosa significhi aver paura. Il doppio album si apre con una manciata di secondi che definiscono il tono di tutte le composizioni presenti in “Summertime ’06”. Un beat che, sullo sfondo sfocato fatto di versi di gabbiani e un lieve ondeggiare, viene interrotto da un freddo colpo di pistola. L’atmosfera che sommerge le metriche e le tematiche dell’album è plumbea e introspettiva. L’immaginario di Vince si sorregge su un minimalismo in cui si dipinge lo scenario di una working class esclusa, dove si animano i relitti fatiscenti di un sogno di vita migliore che mai si realizzerà. I fantasmi di una adolescenza difficile riemergono ossessivamente. Lo confessa lui stesso: “I ain’t never ran from nothin’ but the police”. Vivere a Norf Norf è così, circondato dalla cultura di strada, dove gli Street Punks non sono quelli con addosso uno smanicato dei Discharge, ma quelli che da una Cadillac di passaggio ti scaricano addosso un caricatore di una 9 millimetri, giusto perché la tua bandana è del colore della gang rivale. Vince cincischia fra strade notturne poco illuminate e sobborghi malinconici in cui in lontananza si stagliano fari lampeggianti che più che avvertire le navi, paiono mandare un SOS allarmante. State lontani da qui, da Norf Norf, fra pozzi di disillusione e soldi guadagnati in modo illegale. Si viene trainati a fondo di quell’oceano che ti ricorda per un istante di essere in California.
La musica di Vince è sinistramente vicina a quella di Earl Sweatshirt, non a caso i due sono amici e collaboratori, come in “Doris” anche in “Summertime ’06” il sound è irrequieto e criptico. I posti dove si è cresciuti, in questo caso vicino a Ramona Park, connotano il tutto mostrando una falsa fiducia in se stessi, dove in realtà traspare un’incertezza e una critica sociale non troppo nascosta. Anzi, lo dice schiettamente e provocando: “Why they hate us? Why they want to rape us for our culture? They greet, defeat us, bleed us, then they leave us for the vultures”. O ancora, rincara la dose nell’orwelliano e bellissimo video di Senorita. Alla fine il cerchio di “Summertime ’06” si chiude e trova il suo grande compimento in quella paura che Vince cita come motivo stimolante per la creazione dell’album. La paura di cavalcare le proprie emozioni, come onde che incessantemente ti pongono dinanzi a una sfida. La paura di aver visto i propri amici e coetanei morire o finire in prigione. Una giovinezza sciupata e che per alcuni ha portato a una vita perduta per sempre. Per l’appunto: “Youth was stolen from my city that Summer and I’m left alone to tell the story. This might not make sense but that's because none of it does, we're stuck. Love tore us all apart. Summertime ’06, June 30th.”
Ecco cosa è “Summertime ’06”.
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