"It's the beauty that hurts you most"
Ho sempre amato molto questa frase, questo concetto, espresso in Rectify, serie poco conosciuta di una decina di anni fa. Perché è così vero. È la bellezza a far male, a ferire di più. Perché una volta provata, toccata, percepita accanto e dentro di sé, non puoi tornare a fingere che tutto il resto abbia senso, significato.
La bellezza è tutto. Ma non la bellezza come intesa dai falsi miti dell'uomo moderno. La bellezza vera non è qualcosa che si possa consumare, ridurre, banalizzare, comprare. Per questo che la affannosa ricerca di felicità all'interno dei confini della vita urbana è inutile, perché soltanto la bellezza può rendere felici. E la bellezza autentica è sfuggente, lontanissima da noi, giunge raramente, come qualcosa di non dovuto. Un miracolo.
Nelle vette e nella natura illibata, ancora incontaminata, puoi trovare e sentire la presenza di una spiritualità intensa e struggente. Non quel tipo di spiritualità normalmente intesa, come legata alla presenza di un Dio immaginato e creato dall'uomo nel corso dei millenni. Dio, come diceva John Lennon, è un concetto, tramite il quale misuriamo il nostro dolore.
La spiritualità che puoi percepire e conoscere a contatto con la natura e alla vista di un animale, è piuttosto qualcosa che ti riporta alla radice, ricollegandoti all'io più profondo e ancestrale, a sensazioni originarie che erano proprie molto prima dell'avvento della tecnologia, delle città, del capitalismo e dell'industrializzazione. E a cui abbiamo rinunciato.
Anche se i sogni dell'uomo - dal momento della sua alba fino a oggi - hanno poi portato alla creazione artistica, nulla può eguagliare l'effetto e la magia della creazione naturale e dell'esistenza libera dei suoi esseri viventi.
"L'animale ha una chiave che apre una porta, dietro l'incomunicabile"
La pantera delle nevi è, più che un film, è un'esperienza, un inno, una ode alla meraviglia e all'amore. Un'opera contemplativa che riflette su quanto sia sbagliato il nostro sguardo, lo sguardo di chi attraversa stati e paesaggi (ed intere epoche) senza prestare attenzione, senza dare valore a nulla, se non quando se ne è andato, e il più delle volte nemmeno allora.
Una lezione di vita, sul valore della pazienza, dell'attesa, sul non avere aspettative ma saper così cogliere la straordinarietà di ogni apparizione. Accogliendola come un privilegio, un segno divino, forse, anche se la bellezza della natura è in realtà totalmente appartenente a una Terra, la nostra, violentata e deturpata dall'uomo.
"Scrutavamo il paesaggio, senza esser certi di raccogliere dei frutti. Aspettavamo un'ombra, in silenzio, dinnanzi al vuoto. Era l'opposto di una promessa pubblicitaria. Al tutto e subito dell'epilessia moderna, si opponeva il forse poco o forse niente dell'appostamento."
Ogni incontro con ciascuna di queste creature ti ricorda quanto tutto debba essere assolutamente vissuto come un dono. E anche se lo scopo principale è avvistare un esemplare in particolare, uno dei più rari e sfuggenti al mondo, tutto il resto del contesto animale e naturalistico non è di minor importanza. Costituisce un ecosistema in perfetta simbiosi con un ambiente immenso e puro.
La narrazione di Sylvain Tesson (doppiata da Paolo Cognetti in italiano) è di una tale delicatezza da stringere ripetutamente il cuore, tanto che il solo pensiero di poter in qualche modo disturbare o fare del male alle creature annichilisce e spaventa, ma La Pantera delle Nevi è un'opera di pura pace e riconciliazione. Con pensieri molto importanti ma privi di negatività, morte, dolore. E, per questo, spinte e accompagnate dalle note autenticamente celestiali di Nick Cave e Warren Ellis (che in alcuni momenti riecheggiano addirittura i migliori Dirty Three), le lacrime scorrono come un fiume, la commozione è immensa quanto lo stupore di fronte ai paesaggi tibetani senza tempo. Anche per via della consapevolezza di cosa si è interrotto nel corso della Storia e dell'evoluzione: l'Armonia, l'ordine, l'equilibrio che persiste invece in natura, laddove l'uomo non possa recar danno.
Questo film documentario è esso stesso un dono, una delle cose più belle a cui si possa mai assistere. Lontano sia dalla patina e dal nomadismo stereotipato di Into the wild che dai segni di incoscienza e follia della tragica parabola di Timothy Treadwell, raccontata da Herzog in Grizzly Man.
Più di tutto, La Panthere des Nieges mostra la ricerca di una fuga in un luogo che si eterno e ciclico, immune al passaggio del progresso e alla dissoluzione che esso comporta. In attesa del passaggio di una pantera bianca, di un orso, di una volpe o un'antilope tibetana.
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