<<Mi chiamo Andrea Michele Vincenzo Ciro, Pazienza, ho ventiquattro anni, sono alto un metro e ottantasei centimetri e peso settantacinque chili.[...] Disegno da quando avevo diciotto mesi, so disegnare qualsiasi cosa, in qualsiasi modo.[...] Dal '75 vivo a Bologna. Sono stato tesserato da '71 al 73 ai marxisti-lininisti. Sono miope, ho un leggero strabismo, qualche molare cariato e mai curato. Fumo pochissimo.Mi rado ogni tra giorni, mi lavo spessissimo i capelli e d' inverno porto sempre i guanti.[...] Dal settantasei pubblico su alcune riviste. Disegno poco e controvoglia. Io sono il più bravo disegnatore vivente. Morirò il 6 gennaio 1984>>.

Si era sbagliato di 4 anni. Non moltissimo, in fondo. Andrea Pazienza si spegne nel 1988 e con lui una delle menti più creative che l'arte fumettistica abbia mai avuto. Per me è sempre stato un mito, Andrea Pazienza. Come persona, per le sue idee politiche, per la sua audacia nel parlare di qualsiasi tema senza alcuna autocensura, se vogliamo senza pudore, per il suo dissacrare qualsiasi personaggio pubblico senza il minimo timore. E poi come artista dal talento indescrivibile, eclettico, fuori da ogni schema e da ogni regola del disegno.

Ho sempre amato in modo indescrivibile le sue follie su carta, il consegnare le tavole su carta quadrettata piene di appunti e birrazzie a margine, le sue tecniche miste nella stessa tavola, i suoi migliaia di pseudonimi con i quali amava firmarsi (Spaz, Paperenza, Andrenza, Andrea Fazenda e  molti molti altri), il suo modo di costruire le tavole nei minimi dettagli, come se al posto della matita ci fosse stata una macchina da presa.

Quest' antologia, curata da Vincenzo Mollica, è un testo dal valore unico per gli amanti dell' autore. Un vero e proprio calderone di scritti e tavole più o meno inedite che ci fanno scoprire in modo più incisivo quanto Andrea fosse un artista a tutto tondo, dall' animo tormentato e complesso.

 Nella prima parte ritroviamo le vignette spurie, alcune diventate celebri nel corso degli anni ( quella dei fumati nel burrone, ad esempio, o del cavallo pazzo che urla "basta con la squola, viva la figha!"), unite ad altre inedite. I temi trattati nelle vignette sono tra i più vari: sesso, politica, istruzione, religione, droga, visioni folli e ironiche al tempo stesso. A seconda del tema, il tratto del pennarello cambia, ora orientato verso uno stile più vignettistico, ora verso un tratto maturo e serioso, oppure una strana commistione di tratti curati e schizzi nervosi.

Al compendio vignettistico segue un interessantissimo scritto dello stesso Pazienza in cui egli parla della genesi della sua passione, della sua maturazione artistica, con varie riflessioni sulle sue scelte stilistiche a seconda delle tavole con divagazioni sull' importanza del segno e del tratto.

Più avanti troviamo anche "La prima delle tre", episodio del fantastico ciclo dedicato a Massimo Zanardi e alle sue imprese. Ed è proprio in questo episodio, in bianco e nero a differenza di altri della serie, che emerge quella strana commistione di stili che rappresenta sicuramente il marchio di fabbrica di Pazienza. Chine, matite, pennarelli si ritrovano in un' orgia artistica all' interno delle tavole che appaiono assurde, allucinate, incomprensibili ad un primo impatto. Ma è proprio con queste tecniche che l' autore evidenzia concetti, rafforza immagini, alleggerisce situazioni e tesse le fila del racconto: è l' avvicinarsi del fumetto ad un' esperienza nuova. Più che semplici tavole, sinestesie su carta.

Nel libro troviamo anche una serie di poesie inedite di Pazienza, dal tema vario ma che sottolineano la complessa personalità di Andrea: sono poesie criptiche, che rasentano a volte la demenzialità, a volte il nonsense, senza farsi mancare momenti di dolcezza e rabbia. Segue poi la storia a fumetti "Piccola guida ragionata del West" e " Una estate", splendido fumetto sull' iniziazione sessuale( mentale) di un adolescente durante un torrido pomeriggio estivo.

A chiudere il volumetto, un' inedita storia di Zanardi, un trattato di Pazienza sul segno e un racconto di Stefano Benni.

Un' opera caldamente consigliata per esplorare fino in fondo la complessità di un artista che meglio di chiunque altro ha saputo imprimere su carta una generazione, una pagina di storia del nostro paese, una cultura e una società che grazie alle sue tavole acquista ampio respiro fino ai giorni nostri. Ma anche un' importante occasione per conoscere da vicino colui che, prima che artista, è un ragazzo tormentato, dannato, geniale nella sua follia e nelle sue contraddizioni.

 

Tato le mie piante di neve

volo sulle tue angosce

riversano amore sulle mie membra

e s' agitano a farmi morire

vorrei non mi guardassi rapita

mi diventassi per un attimo pratica

non puoi dirmi di fare tesoro 

fai quello che vuoi

ho bisogno di sentirmi guidato

dalla tua fantasia di donna che sa

ritorno ad un tempo ubriaco

della tua pelle soffice

quando per un tuo sorriso prezioso ero disposto 

a rinunciare alla parte migliore di me

quando per i tuoi occhi di niente

mi trascinavo idiota e stanco

quando per tutta la gente

ero un solitario

acrobata santo

per non averti mai chiesto nulla

che andasse oltre la tua dimensione

catastrofica e ridicola insieme

di ricca fanciulla ragazza perbene

ora la mia vena si è esaurita

ti giuro non oso parlare

per farti star male un momento per bene

per farti capire per riuscire ad amare

ho chiesto soldi alle mie sicarie

ho chiesto in ginicchio un mese di tempo

le mie promesse le ho rispettate ancora

della tua infedeltà sono monastico tempio

non riuscirei mai continuando

a fingermi ancora mercante di noia

si vende a peso o a metro quadrato

nella mia anima è un vero lerciaio

sono disposto ancora a una cosa amore

vecchia giovane vamp

a ritruccare il tuo mito di gloria

all' altare nascosto di viltà

per consolarmi osservando l'immagine

dei tuoi capelli da capogiro

delle sacre bibbie del tuo seno

che troppo spesso ho confuso con Dio.

 

(Andrea Pazienza, 1974)

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