Tra moderno e post-moderno 

Sono sfumati i tempi in cui all'artista veniva dato il compito d'interpretare il ruolo di - e spesso di essere - anima tribolata, alle prese, affaccendata, con la vita precaria  e disordinata, di destreggiarsi con progetti di lungo periodo che non gli riuscivano semplici per voluta natura. Quanto era affascinante la dissoluta vita dell'Artista, eternamente in bilico, tra essere e apparire, tra emozione e sensazione. Ma i tempi odierni sono altri. La solida struttura, l'ordine costituito dai forti e arroganti poteri superiori, dalle cariche moderne, contro cui l'Artista ha lottato con strenuo ardimento, non ci sono più, oggi hanno lasciato il campo di battaglia, le istituzioni si sono liquefatte davanti al fuoco di un capitalismo extra-territoriale, dicono "globalizzato"; un campo vuoto, senza punti di riferimento: liquido. All'attuale stato dell'arte, un gesto di coercizione risuonerebbe come una carezza, come un gesto dal calore umano, la dimostrazione che ancora qualcuno sopra di noi e per noi, guida l'azione collettiva, orienta il lungo periodo. La precarietà e l'estrema natura effimera delle cose, delle relazioni, dei progetti è per tutti oggi; dobbiamo essere artisti, la libertà è gratis, anzi è meglio, da meno spese ai governi e  tutti possiamo assaporarne il gusto agrodolce. Artisti, per forza o per amore, pare l'unica strada per vivere nell'extra-territorialità che tutti prende e tutti stritola, nella globalizzazione che ci toglie ogni sicuro punto di riferimento, negandoci la possibilità di un qual si voglia progetto collettivo di medio termine.

Nostra madre l'Incertezza 

Leggo "1994" su questa copertina sgraziatamente purpurea, poco più di un decennio, ma quanto più tempo è passato, caro Vinicio… Eri ancora lì, appoggiato e sonnacchioso, a cospargerti di fumi e fascino da bohemien d'oltremare, suonavi ancora certe note e parole, ti rendevi affascinante. Certe atmosfere descritte da Capossela in questo bel disco, lo consegnano già all'archivio storico, ad un passato recente ma profondamente diverso. Questo disco è storicizzato dalle sue stesse parole entro gli ultimi barlumi di una tarda modernità. Le "stagioni" cantate da Vinicio, che hanno il vuoto dentro al frigo ed un malox per amico, le veglie infinite entro gole di notti buie e fonde, a noi uomini della post-modernità liquida, oggi, sembrano simpatici clichè, fan comparire quel sorriso trattenuto di chi sente parlare (altri) della propria quotidianità.

Relitti d'un tempo trascorso

Dopo questa lunga introduzione, anche un po' inutile, possiamo provare ad abbozzare un ritratto di questo giovane Vinicio e tracciare i confini della sua opera color porpora. Camera a sud, ci restituisce un Vinicio ben diverso da quello conosciuto negli ultimi apprezzati album. In questo buon lavoro il Corvotorvo rimane ancora entro un registro di pieno cantautorato italiano, degno ma anche assai rigoroso, privo dei magnifici e fantasiosi ornamenti di momento. Vuoi il cast di musicanti, vuoi l'arrangiamento di una mano prevalente come quella di Antonio Marangolo - ambedue ereditati dalle scuderie Contiane - il Capossela pare ben più rigido e inquadrato dietro a quel piano, dell'artista barocco e post-moderno che calca oggi i nostri palchi vestito da Minotauro o da chissà che altro. Qualche tinta leggermente sud americana, qualche milonga, un certo piglio swing, ma in definitiva l'occhiolino è strizzato alla nostra tradizione e nulla è nuovo rispetto ai primi lavori notturni. Oltre agli inevitabilmente (accompagnato da tali sapienti mani) raffinati arrangiamenti, melodie e parole son già farina del suo copioso e prolifico sacco, denotano una caratura melodica mai scontata o banale, assai poco soporifera e sopra la media, come un potenziale letterario buono, ma non ancora affinato, snello, leggero, giocoso ed armonico, come l'odierno. Le tematiche vertono tutte attorno alle fatiche e alla precaria condizione in cui la vita ci getta, tra l'ironia di canzoni, come la popolare Che coss'è l'amor?, viaggio tra "gl'inferi dei bar" che richiama un certo gusto per la descrizione - che (visione fittizia e personale) ho sempre associato a Boogie di Paolo Conte - o Il mio amico ingrato, istantanea di un matrimonio al limite dell'impudenza, ed altri momenti più lirici e romantici, come la struggente Non è l'amore che va via o Amburgo, la risplendente Fatalità. Delicata filastrocca descrittiva è anche l'omonima Camera a sud che ci offre un punto di vista privilegiato, una finestra, da cui osservare un mezzogiorno mediterraneo tra tufo, gelsomini e tamerici.

Talento sfuggente

Inizio tiepido per un talento assoluto che sarebbe andato spogliandosi negli anni a venire. Oggi Vinicio Capossela è uno dei migliori artisti italiani ad avere ancora mani di piuma e voce di sale, con quel suo bel gusto per la parola raffinata, per la melodia più tradizionale, per le immaginifiche suggestioni da cinematografo, con i suoi valzer asburgici e tutto quel corollario di fonti che sapientemente sa suggerire senza cingersi in definizioni.

Questo pregevole lavoro, che pur non consiglio, dimostra una volta ancora come, anche senza l'ausilio di ripieghi meschini, si possa giungere ad un egregio risultato di nobiltà artigiana, forse artistica. Mi chiedo spesso quale sia la linea che separa produzione artistica e produzione artigianale. Mi domando quale sia il confine labile, soggettivo, vacuo, che ci faccia indicare l'una e l'altra cosa. Come Sant'Agostino scriveva nelle Confessioni riguardo al tempo, personalmente intuisco la differenza tra quale sia arte e quale sia artigianato, ma non sarei in grado di esprimerla, di darne una definizione precisa, di tracciare una nitida linea di demarcazione.

Carico i commenti...  con calma