In un mondo sempre più moderno, sempre più universale, sempre più globale, va a finire che ci si perde, si perde sé stessi, si perde l'identità, la convinzione e la certezza d'essere quello, e non un altro. La corsa all'individuo, all'auto-realizzazione, alla gloria, al potere, paradossalmente forse, azzoppa il soggetto.

E cosa è mai un soggetto, privato dei suoi complementi? Come può predicare, agire, affermare?

" Da dove venite? A chi appartenete? Cosa andate cercando?"

Se le cose stanno così, gambe in spalla signori miei! Si parte! Per dove? Ma è ovvio! Si parte per trovare l'appartenenza, l'identità!

Appartenenza a che? Identità di cosa? Giuste osservazioni! Giuste osservazioni!

Non si sa!

Ma è proprio per questo che si parte, o no?

Bisogna tornare indietro, senza tema alcuna, all'origine di tutto! Alla terra! La terra dei padri!

Abbiamo un disperato bisogno di ricuperare i Siensi, i senni dell'intelletto, fonte della saggezza, che fanno conoscere come si è fatti e come è fatto il mondo.

Ci tocca seguirlo, al narratore, giù giù, dove Cristo non è mai arrivato, più giù di Eboli, per dire!

È di lì che viene Vinicio, ed è lì che può recuperarsi, ritrovarsi, sé stesso e i Siensi che ha perduto.

Entriamo così, assieme al viandante, in un mondo antico, arcaico, contadino, che si affida ancora al mito, che si approccia alla religione con fare pagano, un mondo depauperato dalla modernità, dall'industrializzazione selvaggia, dal Lavoro..un mondo da cui in molti sono fuggiti, per il Lavoro, per la Gloria, per l'auto-realizzazione..noi invece, assieme all'errante Vinicio, ci ritorniamo.

" Vai ancora a frugare da cieco, tra i simulacri di una purezza che non avrai mai, dato che mai c'è stata. Vai a giocare. Divertiti e poi rimani solo. Vai.."

Alla ricerca d'una saggezza antica, alla ricerca del mito e le sue origini, ci si ritrova faccia a faccia con la triste realtà : di quel mondo, di quelle immagini, non restano che pochi frammenti, sbiaditi, apparentemente fuori del tempo ma inveitabilmente fatiscenti, e sul punto di puf sparire nel nulla, e amen.

Con la consapevolezza stronza che, alla fin della fiera, con tutti i nodi che vengono al pettine, anche quel mondo lì era un po' uno schifo, e che, una fantomatica età dell'oro, se mai c'è stata, per trovarla bisogna, forse, tornare al tempo degli alberi.

Ciò nonostante, quel che resta può affascinare, ed aiutare a ricostruire un legame perduto, o perlomeno provarci.

La lingua, gran bella bastarda, in questo può aiutare : si può fare terra, si può fare sangue, si può fare fango.

Una lingua può odorar d'Irpinia : dialettale, onomatopeica, antica. Una lingua può farsi corpo, materia.

Una lingua così può essere geografia, alla folle - di questi tempi - riscoperta del luogo, dei luoghi, del particolare, dell'essenziale.

" Tutto era materia. Lo spirito scappava"

E bisognerà però pur acchiapparlo, questo spirito, la materia da sé, si sa, non basta, specialmente per l'antropo, per quell'animale che si distingue per una cosa soprattutto : alza lo sguardo, e osserva il cielo.

La lingua, cara vecchia bastarda, provvede anche a questo, non c'è da preoccuparsi.

Stortinomi di luoghi e personaggi incontrati lungo il cammino, contribuiscono a fissarli fuori del tempo, ad innalzarli nel mito, nell'eterno, nello spirto.

Coppolicchio il custode dei Siensi, Cenzino a-catta-go, Compavicienzo, Testadiuccello, la Marescialla, Cazzariegghio, Pacchi Pacchi, Mandarino " pascitore di uomini", sono nomi leggendari e perciò al sicuro dalle mandibole voraci e implacabili della Storia.

Chissà che infine non si riesca a riacciuffarlo, lo spirito, portarlo a terra e, perché no, ricongiungerlo alla materia, dove dovrebbe stare.

Chissà che non si riesca a guardare in faccia la luna senza morirne.

Chissà che non si riesca a morire e rinascere dalle proprie ceneri, in sé, nel luogo, appartenendo..e facendo meno schifo.

" Il rimpianto mi assalì come una vampa, mi scavò dal petto il cuore. Ogni fiore buttato, ogni goccia d'amore perduta, volle reclamare il suo canto.

D'improvviso mi foravano le orecchie i sibili della purezza, del rispetto dimenticato. Era il cancro della vita che urlava. Con loro non potei più andare avanti.

Così dovetti tornare dove tutto si poteva ricondurre a una cura, dove ad ogni perdita ci si può abituare"

VIANDANTE CHE NON CONOSCI IL CAMMINO, SEMPRE PRESTA ATTENZIONE AL CRUCISTRADA, INCROCIO DI DESTINI

Carico i commenti...  con calma