Vintersorg, questo strano tipo che si aggira negli ambienti più avanguardistici del Black e del Folk, è un geniaccio che ha dimostrato con gli anni, e con la sua multiforme e variegata carriera, quanto molto paghi l'essere investiti dall'estro e dal talento che si distingue, pur facendone parte, da certe tematiche in cui, tra la moltitudine di band e progetti diversi, sembra sempre di riascoltare la solita minestra riscaldata, non trovandoci, alla fine, poi niente di originale.

Affabile imbonitore, innamorato prima, ai tempi di questo album, della cultura e del folclore barbaro seppur profondo della sua terra (la Svezia), poi delle tematiche fantascientifiche, fisiche e metafisiche degli elementi, si è dimostrato sempre coraggioso nel voler percorrere strade che altri non si sarebbero mai sognati nemmeno di sfiorare. Questo "Till Fjälls" è il lavoro che lo avvierà verso terreni di epica fortemente intrisi del Folk che poi ne ha decretato dapprima la sua fortuna, fruttandogli collaborazioni di prestigio e di sempre maggiore successo: Borknagar su tutti, ma anche Otyg e Cronian tra gli altri. E non si può dire che siano immeritate, visto il valore estrinseco ed intrinseco che questo album ha avuto negli anni e per tante band che poi hanno inteso dedicarsi a questo genere così particolare seppur tanto sentito.

Il cd, che ha una base sempre presente o percepibile nel Black bene eseguito e magistralmente pensato, devia spesso e volentieri (diciamo "sempre" per non sbagliarci), in territori dalle forti tinte culturali e di "legame", come detto sopra, con la terra d'origine dell'artista in questione. E lo si nota subito: le canzoni sono tutte cantate in madrelingua, i testi raccontano di sensi d'onore e di aulici complessi storici norreni, e le tracce dell'orgoglio di appartenere ad una stirpe di guerrieri, sono lampanti e precise in ogni solco; ad iniziare dalla teatrale e quasi intimistica "Rundans", una semi-ballata epica che fa da interludio alla spina dorsale del lavoro, dettata, dapprima da un attacco Black e poi ridimensionata su una base power e di grande effetto come può essere "För Kung och Fosterland" ("per il Re e per la Madrepatria"). La canzone, stilisticamente, è un continuo riprendere e lasciare un percorso rispetto ad un altro, con in più, al centro più o meno della sua durata, una chicca sfiziosa e decisamente "strana" seppur geniale, quale è il rimando a "Hall of the Mountain King" di Edward Grieg. E i connotati straordinari dell'opera già sono ben delineati e continui, facendo capire subito a chi ascolta che questo è un album di "sensazioni" e di "impressioni", dove le cime innevate della copertina, i ghiacci che si percepiscono in certi passaggi, le notti lunghe e fredde, l'odore del sangue, è un elemento inscindibile del DNA di certa gente. Proseguendo, si rimane colpiti dai baritonali cantati di Vintersorg, dalla sua intelligenza ed originalità, dai suoi dialoghi con la natura e dalla potenza straordinaria, seppur irrequieta delle linee musicali (tutte, o quasi, opera dello stesso artista, qui nelle vesti, oltreché di polistrumentista, anche di arrangiatore e di produttore). E allora, lasciarsi coinvolgere da "Vildmarkens Förtrollande Stämmor" con i suoi martellamenti incessanti da Heavy Folk, o dalla stessa "Till Fjälls" ("verso le montagne"), brano più legato agli stilemi Black-epici, è un vero piacere incessante. Nessuna noia, nessun colpo sbagliato, ma infiniti e affascinanti scalate sulle vette ghiacciate della catena baltica, senza luce né speranza, soli con la compagnia della neve che sferza la faccia e il gracchiare dei rapaci d'altura. Il risultato, consentitemi di dirlo, è letteralmente stupefacente, per chi ama questo genere di cose. Ad ulteriore pregio, si aggiungono poi "Urberget, Äldst Av Troner" e "Hednad I Ulvermånens Tecken", a tracciare, con malinconica sincerità, i confini labili e sfuggenti delle vallate che solcano le vertiginose alture scandinave, e i richiami al paganesimo d'origine, ormai dimenticato. E qui, se ce ne fosse ancora bisogno (e sempre che gli esempi fino ad ora portati non vi siano bastati), niente può lasciare indifferenti, se non proprio le tediose ed inutili pene ordinarie; pene che vengono brutalmente affossate e denigrate nella successiva, e super-aggressiva "Jökeln", con il suo continuo saltellare tra aggressioni sonore violente ed efferate, scream feroci e cori crudeli e spietati, che bilanciano i rallentamenti melodici seppur angoscianti degli intermezzi. Da qui in poi, si cambia registro, e le parti più delicate e preziose di Vintersorg, nonché le più gotiche e decadenti, spadroneggiano, a partire da "Isjungfrun", dove il cantante duetta con una voce femminile suadente e affascinante (quella di Cia Hedmark, violinista e componente per un certo tempo degli stessi Otyg), creando un ibrido interessante e raffinato che comunque investe parti sensazionali dedicate alla ruvidezza e al carattere della gente che abita quei posti ostici e irraggiungibili di cui l'artista fa parte. Poi "Asatider" e "Fångad Utav Nordens Själ" chiudono l'opera, e tra lo sciabordare delle acque limpide, tra le grida delle donne e dei bambini falciati dalla battaglia, trova posto la morte, l'onore della battaglia, il vento della fine che investe ogni cosa e ogni cosa spazza via; e non sarà un caso fortutito se, una sera, vi troverete a sognare di guerrieri che cavalcano gli astri del cielo, di Hugin e Munin, i corvi di Odino, che vi preannunceranno il Ragnarök, e l'inizio di una nuova era.

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