Dopo la vittoria agli Hyundai Musica Awards 2011 (primo contest online di una casa automobilistica) esce il 3 aprile 2012 l'album "Spazi", su etichetta Universal Italia.
L'opera è composta di 8 brani, tutti presi dal precedente Album "Distanze" che i "Violapolvere" avevano autoprodotto.
Sono, così, state scartate le tracce probabilmente ritenute poco "ispirate" quali: " Cuore di cristallo" - "Non esiste" - "Le cose lasciate a metà" - "Quanta gente" - "Sono ancora qui".
Passando all'album in recensione, fin dalle primissime note si avverte un senso di "già sentito". Il giro di batteria del primo brano, "Rumore bianco", ricorda, anche troppo nitidamente, quello di "A Beautiful Day" degli "U2".
Brano dal testo scontato con la frase "i muri se potessero parlare sai quanti sbagli ci eviterebbero di fare" a rappresentare l'emblema della banalità.
L'opera prosegue con la canzone "Non ha senso" con la quale i Violapolvere si sono aggiudicati gli Hyundai Music Awards. Il brano si rivela profetico: non ha alcun senso che questo brano sia riuscito a vincere un contest musicale. Banale il 4/4 di tempo e il testo con "non ha senso se ci penso".
L'ascoltatore, già profondamente indisposto dai primi due brani, dopo neanche 10 minuti fa già fatica a trovare un motivo, qualsiasi, per andare avanti.
Ad ogni modo, l'opera prosegue con i brani "Come se volessi" e "Molecole": la prima si rivela ancora un brano banale sia nell'architettura musicale (con giri di bassi che sanno di già troppo sentito) sia nel testo; il secondo brano, invece, nella mediocrità generale, si rivela un episodio quanto meno accettabile.
Andando avanti, incontriamo "Rosso" una cover del noto e meraviglioso brano di "Niccolò Fabi". Qui i "Violapolvere" decidono di riarrangiare il pezzo per adattarlo alla voce del frontman e ne esce fuori una canzone che fa rimpiangere il brano originale e la voce del cantautore romano.
Arriviamo, così, al settimo brano "Anima", canzone della quale i Violapolvere girano un videoclip. Questo pezzo conferma ancora di più la sensazione avuta con il brano di apertura dell'opera. Il già sentito è in tutti gli strumenti. Il testo si rivela criptico e incomprensibile anche dopo un'attenta lettura. Il ritornello è talmente fastidioso da far venire più volte voglia di staccare l'audio.
Infine, il disco termina con il brano "Davanti ai tuoi occhi dipinti di nero". L'unico pezzo che probabilmente si salva dal naufragio generale. Peccato per la voce del frontman che, con il suo falsetto, non riesce a tirare fuori il meglio dal brano.
Insomma, un disco brutto che si fa fatica ad ascoltare fino alla fine, nonostante le poche tracce e il poco tempo.
Rimandati al prossimo lavoro discografico, sperando che sia migliore di questo, che come "Opera prima" (per citare i "Pooh") si rivela piuttosto deludente.
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