In questo tempo di tamponi, la tipizzazione della “musica figa” passa ancora per la violenza autodiretta dei Femmes, sulla scorta del 1983-1984.
Tre busker di Milwaukee, Wisconsin, tre emeriti ceffi, scapestrati e insolenti. Sono Gordon Gano, chitarra scalpicciata con innodia e incuria e voce nasale, isterica, pronta al raglio asinino;
Brian Edward Ritchie, contrabbasso quantomeno virtuoso, pronto sempre a improvvisare provvidi assolo;
Victor De Lorenzo, percussionista bizzarro e minimale, restio alla grancassa, invasato dal tamburo e dai kit se ridotti ai minimi termini.
Foggiarono e autentificarono purissimo rock acustico, impetuoso e sanguigno, atto a scansare i miti dell’elettricità e del volume ad ogni costo, a tutto appannaggio di quell’energia sempre giovane, adolescenziale e primigenia, primaria immagine del rock stesso, sfaccettandola, mostrandone la bellezza irriguardosa e tenera al contempo, senza stereotipi e senza troppo candore.
I tre amichetti erano un venditore di enciclopedie porta a porta, un operaio (ex bibliotecario), un attore di teatro. Formarono la band nel 1980 per fare folk acustico e rispolverare le radici della musica americana con gusto eccentrico, ghigno arguto, finanche sadico, e autoironia terapeutica. Senza revivalismi. Odiavano suonare nel garage; gli piaceva suonare all’aria aperta. Il marciapiede andava benissimo. Su un marciapiede di Milwaukee li sentono John Honeyman-Scott e Chrissie Hynde, prima di un loro concerto e li invitarono tosto a fargli da spalla. Detto, fatto! Poi… Slash!
I primi due album sono due must, i due cavalli che trainano la biga su cui i Nostri s’elevarono:
- “Violent Femmes”, acustico, urgente e dissacrante, mischia melodie folkie, rock velvettiano, pop strampalato, ipnotici blues, spinte punk e marcette deviate rock’n’roll; guarda ai Modern Lovers, cerca controcanti doo-wop e beat, inanella testi su pene d’amore, fallimenti sessuali, emozioni crude e frustrazioni crescenti tipicamente nerd. È un clamoroso episodio di priapismo.
- “Halloweed Ground” ricompone in uno schizzo grottesco le musiche delle radici senza guardarsi intorno (né hardcore, né wave): alla riscoperta del country e del bluegrass, con acquerellate jazzy, caricature gospel, ballate vellutate di matrice loureediana, humor nero ad aggiornare l’irriverenza adolescenziale, con un afflato vagamente sperimentale. È un neo-esperimento di alt-country. Un saggio che accosta al ben noto Priapo la figura di Orfeo. In una poetica più adulta: visionaria, stralunata, enigmatica e misticheggiante. E la strumentazione è più varia: l’armonica, il benjo di Tony Trischka, il basso elettrico, l’organo e una sezione fiati col sax di un allora sconosciuto pivello, tale John Zorn.
Poi uno stacco. Il terzo lavoro, “The Blind Leading the Naked”, con Jerry Harrison (Talking Heads) in cabina di regia, porta a una certa normalizzazione mainstream del suono, iterata dal successivo “3”, che, giunto dopo il primo scioglimento della band, cerca di rinverdire la formula grezza del punk da folkettari dell’esordio, ma per edulcorarla.
“Why Do Birds Sing?”, quinto lavoro, datato 1991, non manca di pezzi ispirati e cerca di arginare la regolarizzazione incipiente con un po' di buona, vecchia sconnessione (a fronte di una immagine del trio stranamente ripulita). Certo, le cose migliori echeggiano il passato acustico, stilizzandolo, senza lo slancio selvaggio del più vivido cazzeggio, tanto che quell’urgenza che era scarna e avvincente ora appare didascalica.
I brani, fatti infondo per benino, scorrono celeri e orecchiabili; l’ideale unificatore è il collage rock. I testi sono solari pur restando sovente scurrili, restituendo complessivamente un espressionismo povero, è il suo pregio, ma avaro di scosse, è il suo difetto. Un po' di affettazione nei pezzi enfatici, uno sguardo faceto, ma più distaccato che in passato, nei momenti migliori. Si parte da una swingante dichiarazione d’amore per l’“American Music”, una folk-pop song, bel video di anziani che ballano, che può vantare uno status di classicità; la cover dei Culture Club è insapore; “Look Like That” e “He Likes Me” sono quadretti divertenti e corrivi, molto familiari. La sciocca “Girl Trouble” declama e gonfia i problemi fisiologici di una ragazza, concentrati immaginatevi dove… Il paradigma mitologico dell’album potrebbe essere Efesto tradito e deriso da Afrodite.
Quanto poco dirà invece il seguente “New Times” (con la defezione di De Lorenzo tornato al teatro) o, in tronco, il nuovo millennio! Val la pena di tenersi abbastanza stretto questo “Why Do Birds Sing?” dalla graziosa e sorridente copertina vintage, quietamente sensuale, augurio di sorprese che in realtà non si materializzano.
Vicini ai Fugs per spirito, ma sapendo suonare, musicisti di strada, per cui “c’è solo la strada”, musicisti da marciapiede, al più da bettola, da locale di quart’ordine. Musicisti da caffè d’asporto, quelli che vorresti incontrare, magari, prima di salire sul filobus. Quelli che hanno davvero due capolavori alle spalle e tanto rockabilly, blues e country nel sangue. Anime senza corpo o corpi senza anime. L'anonimato di tanti lavori contro la tipizzazione del genio nelle due forme di un unico esordio: già, il loro tesoretto di canzoni era bell'e che pronto già dal biennio 81-82, si optò per esaltarne l’esuberanza nella formula scarna e diretta del primo disco e per allargare la poetica solo col secondo, in entrambi i casi in anticipo su tutti gli MTV Unplugged che verranno. Del resto, nomen omen, non si può stare fermi, troppo a lungo, posizionati internamente. Nelle grazie della musica si entra e si esce.
“Non posso raccontare come le ragazze nei sogni sorridano
Ma talvolta anche piangano
Così mi sono svegliato saggio
Come quando mi sono addormentato”.
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